
La maieutica come approccio formativo per lo sviluppo del potenziale umano
Le domande all’origine del pensiero: la maieutica socratica
Socrate non fu solamente uno dei padri fondatori della filosofia greco antica, ma, dedicando la sua vita fino a sacrificarla alla conoscenza dell’uomo e della verità, incarna una missione educativa sempre attuale.
Attraverso il metodo maieutico, Socrate porta il suo interlocutore a svolgere un’indagine autonoma di se stesso per trovare la verità.
Mediante le domande, che attivano il dialogo interiore, la persona guarda dentro la propria anima e inizia un viaggio finalizzato alla comprensione di sé e dell’amore per una conoscenza non limitata a nozioni e concetti, ma quale passione profonda per la sapienza frutto di ricerca e consapevolezza individuale.
Ciò che emergerà dalla mente di ogni uomo sarà dunque una conquista del tutto personale: un’espressione di autoeducazione. Colui che raggiunge la consapevolezza della propria ignoranza può realmente cercare e trovare il sapere.
In questo la maieutica è riconducibile all’arte dell’allevare, laddove però non si tratta di far partorire un corpo fisico bensì l’anima dell’uomo.
Come la levatrice aiuta le donne ad affrontare il dolore del parto, il maestro accompagna l’allievo a esplorare la sua anima conoscendo la sapienza che la abita e affrontando il dolore provocato dai condizionamenti, dai dubbi, dalle false opinioni e dalle paure che lo separano dal portare alla luce se stesso. In questo modo allena l’individuo a una vera e profonda conoscenza di sé.
L’approccio socratico intravede il ruolo della libertà individuale e l’arte maieutica è lo strumento che gli educatori possiedono per rendere liberi i propri allievi formandoli al pensiero autonomo.
Ne risulta un prezioso insegnamento pedagogico: maturare autonomamente una coscienza e scoprire le proprie inclinazioni personali.
In questa prospettiva possiamo riconoscere nella maieutica la culla che ha custodito i principi che, a distanza di due millenni e mezzo, vengono interiorizzati in chiave “moderna” dal Coaching. Volendo trovare le similitudini nelle metafore che ben rappresentano il processo maieutico, il Coaching è paragonabile a un viaggio che nulla ha a che fare con il ricevere istruzioni e insegnamenti.
La persona impegnata in un percorso di Coaching autodeterminato diventa consapevole e, di conseguenza, mette in azione il suo potenziale sotto forma di comprensioni e azioni non perché riceve insegnamenti esterni bensì perché genera interiormente le risorse che, una volta consapevolizzate, diventano potenziale agito.
Questa prospettiva riposiziona correttamente il focus sulla sostanziale differenza tra istruire ed educare.
Il termine “educazione” deriva dal latino “ex-ducere” che letteralmente vuol dire tirare fuori, far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
Diversamente, il termine “istruzione” deriva dal latino “in-struere” e significa inserire, portare dentro. Quindi istruire significa fornire agli allievi nozioni, conoscenze, concetti che contribuiranno alla formazione della loro cultura personale mentre educare implica un processo interno che contribuisce anche allo sviluppo della consapevolezza di sé.
In un momento in cui l’importanza dell’educazione è tornata centrale nelle priorità sociali, si accende nuovamente la necessità di confrontarsi e riflettere sulla sostanziale differenza tra queste due definizioni e sulla necessità di ridefinire i paradigmi educativi.
Nei momenti di difficoltà, come quello che stiamo vivendo, nascono anche le opportunità che indirizzeranno e caratterizzeranno gli anni a venire. Le crisi sono le stagioni migliori per scoprire nuove risorse e per attuare il cambiamento individuale e collettivo che si è chiamati a fare.
In ogni mutamento, ancorché nel passaggio epocale che stiamo vivendo, lo sviluppo e la crescita passano inevitabilmente attraverso l’educazione e l’istruzione, leve imprescindibili per la formazione dell’identità individuale e lo sviluppo del potenziale umano.
Gli ultimi decenni ci hanno proiettato velocemente nel futuro permettendoci una crescita economica e sociale molto rapida, inducendo bisogni e contemporaneamente la necessità immediata di soddisfarli. Questo sviluppo repentino ha fissato la ricerca di stimoli, motivazioni e ancoraggi dell’individuo nella realtà esterna.
Laddove l’individuo costruisce le sue azioni sulla motivazione estrinseca, il motore delle stesse sarà guidato prevalentemente da premi e punizioni e allontanerà la persona da un più profondo allineamento a sé. In questo, l’evoluzione del progresso ha mostrato il suo limite raggiungendo un punto di saturazione che ci ha portato a una crisi di identità e a un disorientamento diffuso.
Di nuovo, ci viene in aiuto la profondità della maieutica socratica. Ponendo al centro l’individuo, lo stimola a cercare non più esternamente, ma al proprio interno, le risorse e un solido ancoraggio a fronte delle interrogazioni, dei cambiamenti e dei momenti critici affrontati durante la vita.
Il metodo Montessori: un metodo educativo efficace nel favorire creatività, autoregolazione, agentività.
Investire sull’individuo, porgli domande e coltivarne il potenziale latente devono rappresentare l’impegno prioritario nell’istituzione scolastica che, in concerto con la famiglia, ha il compito di crescere le future generazioni.
È bene impegnarsi in questa direzione fin da subito, senza cadere nell’errore di pensare che il bambino, nella sua naturale dimensione di inconsapevolezza di sé, sia limitato nell’assimilare e interiorizzare gli stimoli che riceve.
Egli è naturalmente predisposto al pensiero laterale e ad apprendere attraverso quella che Maria Montessori definiva una “mente assorbente” in quanto possiede lo straordinario potere di assorbire in maniera inconscia gli elementi presenti nell’ambiente di vita del bambino.
La prima infanzia è considerata da Maria Montessori una vera e propria età dell’oro, il periodo della creazione delle basi del carattere, dell’intelletto e della personalità.
Il bambino, dunque, non è qualcosa di predefinito o di preformato, ma si costruisce da sé.
Possiamo affermare che quella che all’inizio è stata considerata una pedagogia scientifica di stampo positivista, in seguito, ha rivelato la sua impronta interiore in cui l’educazione ha come fine la crescita spirituale del bambino come persona consapevole e responsabile del proprio compito nel mondo.
In tale senso riconosciamo in questo metodo educativo uno strumento promotore non solo dello sviluppo del potenziale del bambino, ma anche della sua creatività, autoregolazione e autoefficacia.
Maria Montessori osservava che quando il bambino era impegnato e perfezionava le sue azioni in un compito che aveva scelto spontaneamente, la sua coscienza si arricchiva di qualcosa di ben diverso da una semplice cognizione: sviluppava la coscienza del suo valore.
Per Maria Montessori, la figura del bambino si presenta possente e misteriosa, l’adulto ha il compito di meditare in silenzio su di essa perché egli custodisce in sé il segreto della nostra natura, diventando il nostro maestro. Maria Montessori ebbe l’intuizione di mettere al primo posto il bambino, le sue esigenze e le sue capacità.
Il metodo si basa sull’osservazione attenta del bambino che viene considerato un singolo individuo dotato di capacità innate che hanno unicamente bisogno di trovare nel contesto e nella relazione la possibilità di esprimersi naturalmente.
Il ruolo dell’insegnante assume quello di mediatore tra il bambino e l’ambiente educativo aiutandolo, sostenendolo e consigliandolo senza mai imporsi o sostituirsi a lui.
Per Maria Montessori, il più grande indicatore di successo per un insegnante sta nel rilevare la capacità autonoma del bambino di lavorare come se l’insegnante stesso non esistesse.
Questo non deve farci pensare che l’insegnante sia relegato ad un ruolo secondario. Egli segue e osserva da vicino lo sviluppo del bambino, padroneggia il processo di apprendimento e valorizza il suo sviluppo individuale e di conseguenza la sua unicità.
Nel celebre motto “Aiutiamoli a fare da soli” si racchiude una delle principali caratteristiche del metodo che favorisce le competenze di autoregolazione, autocorrezione, indipendenza e libertà del bambino che inevitabilmente si confronta con le sue capacità, scoprendo le proprie attitudini e intravedendo il proprio potenziale.
In un ambiente adeguatamente preparato e grazie a una relazione facilitante, il bambino sceglie liberamente e in base ai propri interessi le attività in cui impegnarsi, comprende i propri errori ed è in grado autonomamente di correggerli generando consapevolezza e, di conseguenza, crescita intellettiva ed evolutiva.
Analogamente a quanto accade nel processo di apprendimento montessoriano, il Coach è responsabile della struttura di sessione, predispone e cura l’ambiente e favorisce la relazione facilitante garantendo accoglienza, ascolto, alleanza e autenticità, lasciando libertà al Coachee di autodeterminare i propri obiettivi.
Il Coachee è dunque il vero e unico protagonista del cammino che lo porterà a esplorare la sua realtà, consapevolizzando le proprie risorse, capitalizzandole in azioni concrete finalizzate a raggiungere i suoi obiettivi.
In questo viaggio, egli non solo scioglie le proprie crisi di autogoverno, ma anche conosce se stesso, libera il potenziale e assapora la sua personale dinamica evolutiva.
Egli chiarisce lo scopo della sua esistenza: questo lo porta alla felicità e, di conseguenza, al personale significato di autorealizzazione.
Il benessere e la felicità portano l’individuo a sostare nel momento presente (Kairos) poiché non è più necessario rimanere ancorati alle esperienze passate e neppure proiettarsi in un futuro ipotetico.
La dimensione temporale del qui e ora, custodisce il potenziale latente che, una volta consapevolizzato, si traduce in risorsa agita che porta al raggiungimento degli obiettivi autodeterminati.
Il potenziale di apprendimento: La teoria della ghianda di James Hillman
Le potenzialità rimandano al concetto di qualcosa che si trova in noi allo stato latente, ma che ancora non siamo in grado di utilizzare o di esserne consapevoli, tuttavia rientrano nelle nostre possibilità.
Le potenzialità differiscono dalle capacità.
Queste ultime raccontano ciò che siamo in grado di fare o di essere nel momento presente.
Le potenzialità fanno riferimento, invece, a un contesto più ampio: riconducono a un ambito costituzionale o attitudinale, ma possono trovarsi, in parte o completamente, in uno stato latente a volte inconsapevole. Diventano effettive quando, attraverso la consapevolezza, evolvono in risorse agite.
Il nostro potenziale di sviluppo deriva, dunque, dall’insieme delle capacità che potremo sviluppare nella nostra vita in seguito a una adeguata stimolazione dell’ambiente, a un costante allenamento e alla conoscenza di sé.
James Hillman, con la teoria della ghianda, parte dal presupposto che ognuno di noi possegga un talento innato (daimon) che aspetta solo di essere riscoperto, un destino cui siamo chiamati fin dalla nascita e che, spesso, si manifesta più liberamente nell’infanzia.
Utilizzando la metafora della natura, paragona l’uomo a un seme di quercia che, nel corso del tempo, necessariamente darà vita a un albero di quercia.
Non è possibile che il seme generi una tipologia di albero diverso poiché esso è destinato, in origine, a diventare solo e solamente una quercia, con caratteristiche uniche, diverse da tutte le altre querce, ma sempre una quercia.
Secondo Hillman la stessa cosa accade agli esseri umani che nascono con uno o più talenti peculiari che spesso dimenticano di avere.
Ogni persona ha sperimentato almeno una volta nella vita un’illuminazione che l’ha condotta dove ora si trova. Hillman chiama questa la “fulminazione” che porta l’essere umano ad avere chiaro in mente ciò che doveva fare e a farlo generando, improvvisamente, una maggiore coscienza di sé.
L’individuo è responsabile delle proprie scelte e da lui dipende la capacità o meno di mettersi in contatto con il proprio daimon, quella vocazione innata che è, poi, il motivo per cui abbiamo scelto di vivere in un particolare contesto.
Riprendendo il significato della metafora, non è però detto che la ghianda riesca sempre a diventare quercia perché, sebbene in potenziale lo sia, potrebbe venire distrutta prima che questa cresca, oppure potrebbe, per una serie di motivazioni, non riuscire a svilupparsi completamente.
Diventare una quercia significa compiere in questa vita esattamente ciò per cui si è nati, in base alle caratteristiche e alle peculiarità personali. Il modo per farlo è riscoprire i propri talenti e nutrirli con l’applicazione, affinché si possano realizzare, portando a compimento il senso della propria esistenza.
Il daimon è una presenza invisibile che si prende cura di noi quotidianamente.
Nella tradizione greca si arricchisce di ulteriori significati: esso rappresenta l’indole dell’uomo, una specie di modello da seguire per poter realizzare il destino che gli è stato assegnato permettendogli di compiere pienamente la sua natura.
Mentre nell’antichità questa presenza era riconosciuta e perfino omaggiata, oggi risulta quasi totalmente ignorata.
Conclusioni
Il Coaching esprime una sintesi perfetta in chiave moderna dei principi maieutici e racchiude in sé quelli della psicologia positiva così da essere un metodo con solide basi scientifiche e in continua evoluzione.
Non è possibile tacere completamente la spinta dell’essere umano a perseguire la sua evoluzione. In ogni epoca, esisteranno sempre domande: la conoscenza di sé e la propensione a ricercare e manifestare il proprio potenziale rappresentano per ogni essere umano un bisogno irrinunciabile.
Elisabetta Pezzetta
Tutor e coordinatore di attività formative
Nimis (UD)
elisabetta.pezzetta@gmail.com
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8 Novembre 2022at11:53