Categoria: Jumanji, Benvenuti nella Giungla (regia di Kasdan, 2017) – Apprendere in Gruppo, tra Gamification e Team Coaching

Categoria: Jumanji, Benvenuti nella Giungla (regia di Kasdan, 2017) – Apprendere in Gruppo, tra Gamification e Team Coaching

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Jumanji, Benvenuti nella Giungla (regia di Kasdan, 2017) – Apprendere in Gruppo, tra Gamification e Team Coaching

In un processo di Team Coaching, uno dei fattori che maggiormente permette al Coach di monitorare l’andamento del gruppo è “il livello” di apprendimento che, in un’ottica sistemica, ogni singola persona contribuisce ad alimentare in funzione degli obiettivi comuni da raggiungere, migliorando le proprie e le altrui competenze in tempi brevi. “[…] Il coaching di un team per lo svolgimento di un incarico assegnato si basa sugli stessi principi del coaching agli individui. Più un team è consapevole, sia a livello individuale sia a livello collettivo, migliore sarà la performance” (Whitmore, 2011).

L’entità del gruppo quale organismo complesso ha la capacità di evolvere in proporzione alla gestione delle perturbazioni interne ed esterne a cui si trova sottoposto, alimentandosi sulla base dell’interazione tra le forze emotive, i pensieri e i valori che contraddistinguono ogni membro che ne fa parte. E proprio sul fenomeno dell’apprendimento, dalla visione del film in oggetto, ho avuto modo di rileggere alcune dinamiche osservate in specifici momenti di Team Coaching, focalizzati sull’evoluzione del gruppo stesso in termini di scambi costruttivi, avanzamento e crescita intersoggettiva.

In estrema sintesi, la trama del film ha come protagonisti quattro giovani studenti delle superiori che, finiti in punizione per vicissitudini di carattere disciplinare, si ritrovano a dover liberare la cantina della scuola da decine di cianfrusaglie per dare spazio alla nuova aula informatica. Mentre sono intenti a svolgere le pulizie, scoprono una vecchia consolle con inserita all’interno una cartuccia del videogioco ‘Jumanji’; incuriositi dal ritrovamento, i ragazzi la riavviano, iniziano a giocare ma, subito dopo che ciascuno di loro ha scelto il suo personaggio, tutti e quattro vengono letteralmente assorbiti dal monitor e catapultati dentro il videogioco, con le sembianze dei relativi avatar scelti, per far fronte a un’incredibile avventura e guadagnarsi il ritorno nel mondo reale.

Trovo interessante il fatto che, mentre prima di accedere al gioco i protagonisti si conoscono in maniera superficiale, o meglio, hanno motivazioni “professionali” fortemente individuali, nel momento in cui si ritrovano immersi in un ambiente virtuale che li vincola a lavorare insieme in funzione di un obiettivo di sopravvivenza, anche l’approccio conoscitivo si fa necessariamente più approfondito. Inoltre, questa fase di “forming” del gruppo di gioco nel film è caratterizzata da un confronto tra i protagonisti sui reciproci punti di forza e di debolezza che contraddistinguono i loro avatar e, non a caso, tale discussione si avvia attraverso un’analisi di gruppo sulle rispettive ‘schede personaggio’, come in un moderno gioco di ruolo multi giocatore on-line (MMORPG).

A inizio avventura, il gruppo è introdotto all’impresa da una guida (Nigel) che, dopo aver accompagnato i protagonisti sul luogo del “primo livello di gioco”, saluta gli avventurieri rivolgendosi al leader della spedizione con un messaggio che suona più come un orientamento di metodo che un semplice incoraggiamento: “con l’aiuto dei suoi colleghi, usando le vostre capacità complementari, lei riporterà il gioiello nell’occhio del giaguaro e annullerà il sortilegio”. La struttura interattiva che permetterà poi al gruppo di realizzare un percorso di apprendimento (auto) generativo è costruita sulla base di una meccanica ludica spiegata in sintesi dal personaggio del dott. Smolder Bravestone, interpretato dall’attore Dwayne Johnson:

“[…] un gioco così avrà dei livelli, per finire il gioco bisogna completare tutti i livelli, i livelli diventeranno sempre più difficili […]”.

La dinamica di gioco, invece, che accompagna sia l’evolversi dei personaggi sia lo sviluppo del Team nel corso dell’avventura si rispecchia nella continua messa in discussione dei protagonisti, con se stessi e nel rapporto con gli altri, attraverso un’attenta disamina di proiezioni, pregiudizi e timori che ha la finalità di stimolare nel gruppo: una visione comune di obiettivi all’apparenza chiari ma a volte non accettati da tutti, la costruzione di una Team Leadership efficace ma che fatica a esprimersi nelle differenze dei ruoli, un’assunzione di responsabilità che spesso entra in contrasto tra esigenze individuali e bisogni del gruppo stesso.

Una scena del film che, secondo me, mette ben in evidenza tale dinamica è quando i quattro protagonisti si trovano nella situazione di dover affrontare un temibile serpente nascosto in una cesta per recuperare una preziosa informazione in essa nascosta. L’indizio di gioco per superare la prova si trova in una misteriosa frase che recita “fidatevi di voi e gli occhi non sbattete”; male interpretando il messaggio e rischiando la vita, il gruppo riuscirà comunque a passare oltre l’ostacolo e, proprio grazie all’utilizzo complementare delle rispettive competenze, solo a prova conclusa, capirà il senso del testo, basato su una risorsa chiave all’interno di un Team.

Dalla mia esperienza, il punto di contatto tra un membro del gruppo e l’altro all’interno di un percorso di Team Coaching emerge spesso laddove le capacità latenti degli attori coinvolti stentano a manifestarsi, per cui, quelle medesime “mancanze”, quando nel gruppo vengono argomentate (es. ‘non abbiamo la spinta sufficiente a fare’, ‘avremmo bisogno di maggiore trasparenza’, ‘le informazioni non circolano’), trovano un loro spazio interattivo sia per poter essere (ri) definite sia per uscire da un’area di “debolezza” identificata in superficie.

Nell’evolversi del gioco nel film, infatti, i protagonisti passano da un’iniziale condivisione dei propri punti deboli alla presa di consapevolezza degli stessi fino a trasformarli in leve di forza per “usarli” in maniera strategica per se stessi e in azioni combinate di Team.

Inoltre, un fattore ricorrente che dal contesto ludico viene ben espresso in termini di Apprendimento di Gruppo è il valore che i personaggi danno “all’uso delle vite”; ovvero, una volta compreso il meccanismo di regolazione delle possibilità di gioco che ogni ruolo ha a disposizione, ciò che costituisce un rischio e anche un limite allo sviluppo dell’avventura diventerà poi una capacità strategica che il Team avrà modo di utilizzare a proprio vantaggio, in diverse occasioni e in vista di obiettivi sempre più sfidanti.

Il focus che voglio mettere in evidenza è proprio questa capacità di apprendere, quale caratteristica fondamentale di un team in grado di andare oltre la funzione identificativa di ruoli e obiettivi per concentrarsi, in maniera consapevole, sui processi comunicativi e di organizzazione all’interno dei quali sono disseminate competenze, risultati e responsabilità. Nel momento in cui il Team Coaching si fa strumento di miglioramento e “ponte” tra la prestazione del Gruppo e la performance aziendale, i giocatori della squadra hanno la possibilità di sperimentare un nuovo approccio prospettico verso sfide individuali e azioni da sviluppare, in un’ottica sistemica integrativa rispetto a un’attività di Team Working, dove quest’ultima è finalizzata alla comprensione delle dinamiche che caratterizzano il Gruppo nel proprio agire.

Il contesto riflessivo in cui ogni componente del Team ha modo di osservare gli effetti dell’agire condiviso sulla propria persona, confrontare esperienze e descrivere emozioni ha un effetto generativo che, oltre a potenziare il coinvolgimento tra le persone, trasmette al Gruppo una modalità di gestione di priorità e compiti “personalizzata”, per cui ogni membro del Team può esprimere il suo contributo, al di là di una rigida definizione di ruolo o di uno scambio informativo strutturato:

“[…] viene infatti inevitabilmente messa in discussione la percezione del ruolo e di sé nel proprio ruolo professionale, dell’identità lavorativa, del proprio rapporto con le attività operative […]” (Bruscaglioni, 1997).

Al di là dell’assenza formale di un Team Coach all’interno del film, dal mio punto di vista, la pellicola ben mostra quanto i protagonisti, nell’affrontare difficoltà di ogni tipo, scoprano che “la realtà” di ‘Jumanji’ non è solo un gioco di sopravvivenza ma anche (e soprattutto) un percorso di apprendimento di/sul Gruppo. Un contesto virtuale dove la conoscenza dei rispettivi ruoli, i punti di forza e di miglioramento di ciascun personaggio e la loro viva interazione “sul campo” permettono di combinare azioni anche rischiose o sbagliate, ma riviste e valutate da un’ottica quanto più costruttiva per il Team stesso.

E come sentenzia il personaggio di Ruby Roundhouse, interpretato dall’attrice Karen Gillan, a chiusura di quanto imparato dall’esperienza: “cerchiamo di essere così, ogni giorno…”.

 

Federico Polidori
Training Specialist, Trainer, Life Coach
Cologno Monzese (MI)
federicom18@libero.it

1 Comment
  • Elena

    9 Marzo 2018at20:03 Rispondi

    Complimenti! Veramente molto interessante e competente questo spunto di riflessione.
    Grazie.
    Elena Canziani

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