Categoria: Il Coaching e il kairos del conflitto

Categoria: Il Coaching e il kairos del conflitto

Il Coaching e il kairos del conflitto

Crisi di autogoverno e conflitti

La domanda di Coaching è spesso generata da crisi di autogoverno a cui il coach cerca di rispondere sostenendo il Coachee in un lavoro di individuazione e allenamento del proprio potenziale umano e, in particolare, delle proprie potenzialità caratterizzanti.

A questo proposito, è bene ribadire che spesso è proprio a causa della repressione delle potenzialità caratterizzanti, che matura la crisi di autogoverno di una persona. La frustrazione per non sentirsi realizzato, la sofferenza che deriva dal volere di più dalla propria vita ma non sapere esattamente cosa o come, il desiderio di un cambiamento avvertito come assolutamente necessario ma non meglio identificato, sono tutte situazione che possono generare una domanda di coaching e alle quali il coach deve rispondere con l’individuazione delle potenzialità caratterizzanti del Coachee (A. Pannitti, F. Rossi, L’essenza del coaching, Franco Angeli, Milano, 2012).

Seguendo la teoria dell’autorealizzazione di Deci e Ryan possiamo affermare che la frustrazione che deriva dal non sentirsi pienamente realizzati è imputabile all’impossibilità di soddisfare i tre bisogni psicologici di base: la relazionalità, la competenza e l’autonomia. L’esperienza ci insegna che la frustrazione di questi bisogni e il malessere che accompagna le crisi di autogoverno e i conseguenti blocchi “agentivi” è spesso imputabile all’insorgere di conflitti.
Conflitti interiori intrapersonali, conflitti interpersonali che provocano perturbazioni relazionali esterne, oppure conflitti organizzativi legati a contesti collettivi.

La domanda che ci poniamo è se il coaching possa essere una relazione facilitante idonea ad accompagnare chi si trova in questa situazione.

Crediamo che la risposta dipenda in gran parte dal significato che attribuiamo alla parola conflitto.
Questo termine, infatti, è spesso utilizzato, in modo grossolano, come sinonimo di scontro violento. A ben guardare, però, il conflitto è tutt’altro.

Il conflitto nasce, infatti, là dove l’alterità è accolta e legittimata, dove è possibile un confronto aperto di idee, visioni, valori, convinzioni, proposte diverse e talvolta contrapposte.
Il conflitto non è necessariamente uno scontro, non è coercizione né imposizione, ma confronto tra diversità, relazione dialettica che dice simmetria e reciprocità.

Solo la conflittualità, in fondo, restituisce un’immagine autentica della realtà che è sempre complessa, composita e multiforme. Nel conflitto alberga dunque un germe di ricchezza e creatività e proprio per questo una reale competenza conflittuale è in grado di avviare processi di cambiamento e trasformazione nella vita delle persone e della società.

La violenza, invece, è imposizione, sopraffazione, eliminazione della diversità attraverso la coercizione fisica o psicologica; non nasce dal conflitto, ma, al contrario, esplode quando la possibilità di una sana conflittualità è negata. A questo livello il mondo contemporaneo presenta un paradosso: in una società sempre più aperta e pluralista l’accoglienza della diversità sembra essere sempre più difficile e il sorgere di nuovi fondamentalismi innescano spirali di violenza.
In questo contesto, le possibilità di sviluppare una reale cultura del conflitto, una sana conflittualità diventa un compito quasi impossibile e così, mentre rincorriamo il mito (diabolico) dell’armonia fusionale, si diffonde sempre più l’idea del conflitto come inciampo, patologia, sintomo di un malfunzionamento delle relazioni, disfunzione da curare.

Tutto, nella nostra cultura e nella nostra educazione, aspira alla cancellazione del conflitto, o almeno alla sua attenuazione. (…). Si tratta di capire in che modo l’essere umano, l’essere umano così com’è, l’essere umano con il suo fondo di costitutiva oscurità, possa costruire le condizioni di un vivere comune malgrado il conflitto e anzi attraverso il conflitto, mettendo fine al sogno o all’incubo di chi vorrebbe eliminare tutto ciò che vi è, in lui, di ingovernabile. (…) Per questo la rimozione del conflitto può portarle alla barbarie. Per questo imparare a pensare insieme il conflitto e la civiltà è decisivo. Nel solco di Eraclito, la nostra ipotesi sarà che “Polemos, il conflitto, è padre di tutte le cose” (M. Benasayag e A. Del Rey, Elogio del conflitto, Milano, 2018).

Viviamo in una cultura a-conflittuale in cui la “carenza conflittuale” e l’incapacità di gestire con competenza i conflitti sono sempre più diffuse e generalizzate, dove le persone, avendo perso la capacità di affrontare e sostenere anche i conflitti più comuni e naturali, quando si trovano ad affrontarli si bloccano ed entrano in crisi.

 

Processo di coaching e gestione dei conflitti

Siamo convinti che la relazione facilitante del coaching rappresenti uno spazio idoneo anche per affrontare le crisi legate alla gestione problematica dei conflitti. Questo, perché il conflitto è essenzialmente una “perturbazione emotiva e cognitiva della persona rispetto all’individuazione di obiettivi di autonomia e di ricerca di senso” (Filippo Sani, Maieutica orientativa, Perugia, 2022) e il lavoro del Coach è proprio quello di aiutare il Coachee a superare gli ostacoli e i blocchi che gli impediscono di raggiungere una piena autonomia nella ricerca di senso, soddisfazione e felicità stimolandolo a prendere le distanze, cambiare prospettiva e uscire dal blocco emotivo. Nella misura in cui il coach saprà guardare il conflitto da questa prospettiva, anche questa situazione potrà divenire, all’interno del percorso di Coaching, occasione di crescita in consapevolezza, di apprendimento, di scoperta e allenamento delle risorse personali del Coachee verso una più matura autonomia.

Eppure, se si vuole riuscire ad affrontare le sfide di questi nuovi tempi incerti e difficili, occorre cominciare a guardare ai conflitti non come incidenti di percorso, problemi da rimuovere o da temere, pericoli da evitare ad ogni costo, elementi perturbativi e pericolosi. Occorre piuttosto cominciare a cogliere l’importanza dei conflitti come elementi necessari alla crescita e allo sviluppo personale; necessari, e non accidentali (D. Novara, La grammatica dei conflitti, Milano, 2009).

Il Coach che affronterà questa sfida dovrà, quindi, aver maturato una visione positiva del conflitto e compreso la sua essenza di elemento non accidentale, ma naturale delle relazioni e necessario alla crescita e allo sviluppo personale.
Infatti, le situazioni conflittuali, che spesso provocano blocchi e la frustrazione dei bisogni di relazionalità, competenza e autonomia, sono occasioni preziose di mobilità, cambiamento e apprendimento capaci di attivare energie creative ed evolutive.
Sviluppare una reale competenza conflittuale può aiutare il Coachee a individuare e allenare le virtù universali e le proprie potenzialità relazionali caratterizzanti attraverso un lavoro di consapevolezza e rafforzamento del senso di giustizia, della propria umanità, della saggezza, della temperanza, della trascendenza e del coraggio.

 

Conflitti e sviluppo delle risorse personali

L’idea che un conflitto possa essere trasformato in una risorsa personale aiuta a capire perché e come un lavoro di gestione dei conflitti possa rientrare nell’intervento di coaching. Infatti, il conflitto nella sua veste di resistenza, divergenza, e interruzione rappresenta una situazione ideale attraverso cui aiutare il Coachee a scoprire, rafforzare e utilizzare le proprie risorse personali trasformandole in competenze.
I conflitti, le difficoltà, le resistenze, le divergenze, i contrasti possono trasformarsi in risorse. Perché la trasformazione si realizzi è necessario attivare nuovi punti di vista, nuovi apprendimenti, che solo un processo di accompagnamento verso l’acquisizione di nuove competenze può generare (cit. Maieutica orientativa).

Lavorando sul conflitto, il coach accompagnerà il coachee in un lavoro di dislocazione e di riposizionamento che gli permetta di “attivare nuovi punti di vista” aiutandolo a prendere consapevolezza delle resistenze che emergono nei contesti conflittuali spesso alimentate da “convinzioni limitati”, da “blocchi del pensiero” e da “interferenze interne”.
Il Coach, aiutando il coachee a prendere consapevolezza delle resistenze e delle interferenze attivate dal conflitto, lo accompagnerà in un processo di presa di distanza dagli automatismi che portano alla latenza conflittuale e all’evitamento che gli permetterà di imparare ad esplicitare i conflitti nel loro insorgere, ad attraversarli e a sostare in essi senza fuggire o negare le dinamiche interiori e relazionali dagli stessi provocati. Un percorso di ristrutturazione capace di trasformare lo stress in energia e tensione vitale perché “la conflittualità, che non viene negata, alimenta una tensione che ci fa restare giovani” (A. Carotenuto, Attraversare la vita, Bompiani, Milano 1999).

Come il coach può aiutare il coachee che porta in sessione una crisi dovuta a un conflitto? Innanzitutto, favorendo la sua narrazione e rafforzando la sua capacità di esplicitare, definire e collocare il conflitto; successivamente accompagnandolo verso una maggiore consapevolezza della “parte sommersa” del conflitto, quella dimensione che comprende bisogni, emozioni, stati d’animo, valori e desideri, e, gradualmente, a darle un volto e a “lavorarla”.

Se ci si ritrova a vivere un conflitto e si prova subito a cercarne la soluzione, il rischio di non riuscire a gestirlo efficacemente è molto elevato: la natura del conflitto implica che ci sia sempre qualcosa di significativamente nascosto; appare una parte pretestuosa ma ce n’è anche una sotterranea, solitamente più significativa. Se si punta alla soluzione inevitabilmente si è costretti a cercarla in merito alla parte pretestuosa, quella meno interessante e sulla quale la maggior parte delle volte risulta inefficace lavorare (cit. D. Novara, La grammatica dei conflitti).

In quest’ottica, il lavoro sul conflitto potrà diventare l’occasione per scoprire e allenare le sei virtù universali e le corrispondenti potenzialità. Il coachee avrà la possibilità di lavorare a livello di:

“giustizia” attivando uno sguardo di autentico realismo sul contesto conflittuale;
“umanità” aprendosi all’empatia, all’accoglienza e alla comprensione dell’interlocutore nel conflitto;
“saggezza” e “temperanza” per “trasformare gli automatismi di risposta aggressivi, difensivi, quei copioni che vediamo facilmente attivi in una dinamica conflittuale, in momenti di crescita personale e sociale costruttiva” (cit. La mediazione: in mezzo al conflitto per aiutare i contendenti a fare da soli, Paolo Ragusa, in La grammatica dei conflitti; Conflitti e mediazione, Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, Milano 2023);
“trascendenza” quando proverà ad andare oltre le proprie pretese risarcitorie aprendosi a proposte, rinunce e negoziazioni;
“coraggio” quando sceglierà di fare un passo indietro nell’ottica della “rinuncia attiva” che gli permetta di “ritirarsi in funzione di altri interessi, sottrarsi all’attacco per cercare altro (…) cambiare strada completamente, trovando anche quel tempo che consente di uscire dall’impasse emotivo” (D. Novara, Dalla polemica alla rinuncia attiva, lectio magistralis, 2023).

La componente emotiva sommersa colpita dal conflitto è spesso la causa di crisi di autogoverno perché attiva nel coachee reazioni istintive che gli impediscono una risposta realmente autonoma. In queste situazioni, ancora una volta, uscire dalle secche del pensiero verticale e aprirsi ad una logica di empatia, può aiutare il coachee a cambiare posizione evitando un’immedesimazione emotiva e permettendogli di valutare diverse prospettive e punti di vista.

Il rischio che l’attacco più efficace vada a colpire sul piano emotivo è molto forte. Per evitarlo bisogna sospendere la risposta all’attacco, scostarsi dal letteralismo e dal commento e, in alcuni casi, attivare la rinuncia attiva. “So-stare nel conflitto” significa saper leggere la situazione evitando l’immedesimazione emotiva nel problema tipica dell’attacco che cerca di colpire gli affetti, ovvero le emozioni più calde. Meglio togliersi per cercare un altro tipo di interesse e motivazione (Ibidem).

Una volta che attraverso il lavoro di sessione il coachee avrà recuperato stabilità emotiva e lucidità, nell’individuare l’obiettivo extra sessione e il relativo “piano d’azione” potrà prendere in considerazione l’ipotesi di adottare strategie comportamentali e relazionali adeguate alla situazione come, ad esempio, la “rinuncia attiva”, la mediazione o altre strategie di raffreddamento emotivo dei contendenti.

 

Conflitto come compito: consapevolezza, responsabilità e autonomia

Il chronos del conflitto (che mangia i suoi figli) diventa un kairos, un’occasione propizia, quando il coachee è inizia a guardare il conflitto, non più come minaccia, ma come compito e responsabilità.

Il punto di partenza (…) è quello di pensare ai conflitti come a dei compiti: compiti per apprendere qualcosa di noi, degli altri, delle dinamiche relazionali, della socialità; compiti per sviluppare risorse personali e attivare energie creative superando la reattività arcaica e istintiva. (…) Ogni conflitto ha un suo compito, occorre scoprirlo, rispettarlo e viverlo come riorganizzazione e apprendimento. La soluzione del conflitto sta allora nell’assumersi questo compito e questa responsabilità, nell’imparare a fermarsi e a provare a leggere quello che sta accadendo attorno a noi (cit. La grammatica dei conflitti).

Non siamo distanti dall’insegnamento di John Whitmore quando ricordava che la consapevolezza genera responsabilità e la responsabilità autonomia.

 

 

Federico Desimoni
Coach professionista specializzato in ambito organizzativo
Parma
Federico.desimoni@gmail.com

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