Categoria: Andare a Scuola di Coaching

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scuola di coaching

Andare a Scuola di Coaching

La vita offre sempre possibilità trasformative che mettono alla prova la nostra competenza motivazionale. Quella professionale non si sottrae a tale legge, in qualunque ambito la si sperimenti, sia esso business, sport, life, education. Tuttavia, un processo di adultizzazione, quale professionista del coaching, non può che passare per una formazione disciplinata attraverso una scuola di coaching. Ed io sono grata alla mia per l’attenzione sensibile che hanno saputo porre alla educazione dell’animus e dell’abito professionale.

 

Perché la formazione?

È propriamente in una scuola di coaching che si apprendono tecniche e principi di un processo di sviluppo del potenziale umano, ordinati a determinate sottocategorie costruttive che tessono le pratiche di un coach. Le principali, a mio parere, sono:

  • Il floureshing: l’arte di far fiore. In questo contesto si riferisce alla metodica focalizzata sul potenziamento e sviluppo delle risorse dell’altro, funzionale alla sua realizzazione e al cambiamento personale. Poiché intelligenza, talenti, atteggiamenti sono tutti elementi dinamici, il coach favorisce ed esalta la ricchezza della diversità umana nel momento in cui il soggetto è portato al risveglio del suo potenziale unico e irripetibile.
  • Il pruning: allenare il coachee ad una consapevolezza responsabile e traducibile in azione presuppone l’adozione di metodiche, esercizi e tecniche non solo comunicative, finalizzate a stimolarlo verso una selezione, una pulizia e  una maggior chiarezza delle  sue catene di pensiero . Il tutto è funzionale a favorirne il passaggio autodeterminato da sequenze limitanti a quelle supportive, dalle depotenzianti a quelle funzionali.
  • Il Coaching propriamente detto: il metodo è attuativo di un passaggio fondamentale: dal potenziale inespresso e instabile alla risorsa consapevole che, in quanto tale, ha la capacità di mettersi in azione per il raggiungimento degli obiettivi personali.
  • To be “meta”: mi riferisco alla capacità che tutti abbiamo di auto-riflessività e come tale di prendere distanza per approdare a una prospettiva più ampia. Nel coaching è meta tanto la posizione del coach rispetto al coachee, quanto quella del coach rispetto alla propria postura professionale.
  • Il limite di essere coach: l’essenza di ciò che si è presuppone sempre il confronto con i propri limiti, in questo caso legati alla competenza che un coach può esercitare E proprio in una scuola di coaching il principio è chiaro, veicolato dall’inizio e per tutto il tempo di formazione: non siamo consulenti, né formatori, né tanto meno psicologi. Siamo una categoria altamente professionalizzata e regolata dalle Norma UNI EN ISO 11601: 2015 perché esperta in uno specifico metodo di sviluppo del potenziale umano, appunto il metodo del coaching, per quanto quest’ultimo possa assumere connotazione diverse, in funzione delle diverse scuole di pensiero.

 

Per sintesi:

Entrare in questi contesti formativi significa arricchirsi d’immediato di una principale consapevolezza così espressa da Von Foerster, scienziato dell’apprendimento: “l’unico modo per aiutare qualcuno è aiutare la sua capacità di riflessione autonoma, di crearsi alternative nel pensare e nell’agire”. Essere coach ha inizio da qui, tutto il suo dicĕre e facĕre quotidiano dipendono da questa educazione e dalla sua coerente autoregolazione. E se questo non bastasse, la pratica mi ha insegnato che la formazione continua sempre apre una finestra critica e creativa per sé stessi, nella relazione con gli altri e con il mondo circostante.

Per saperne di più circa la scuola presso cui mi sono formata puoi cliccare sul link: https://www.incoaching.it/

 

 

In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®

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