Categoria: Assonanze tra la musica jazz e il Coaching

Categoria: Assonanze tra la musica jazz e il Coaching

Assonanze tra la musica jazz e il Coaching

 

Assisto per la prima volta ad una esercitazione di una sessione di coaching dal vivo e associo subito tale “duetto relazionale” alla musica jazz!  Un insieme di melodie, ascolti, botte e risposte ritmiche, pause,  co–narrazioni, rielaborazioni di frasi, che partono da una domanda dissonante (la domanda di coaching). Percepisco così un flusso strutturato ma allo stesso tempo estemporaneo e creativo ma con un obiettivo preciso.

 

Nei prossimi 6 punti vi spiego quali sono le assonanze che mi rimandano a tale associazione.

 

1. Architettura del metodo

La musica jazz, nonostante rimandi ingenuamente a un concetto intuitivo di improvvisazione, libertà e destrutturazione, senza regole e riferimenti, ha al suo interno un’architettura ben precisa.  Anzi in ogni brano c’è uno schema predefinito, la struttura per l’appunto.

La inventate quella roba? Si ma la inventiamo nel contesto di una struttura ripetuta” (Marsalis 2009)

Per struttura si intende le sezioni che un musicista deve seguire per ritrovarsi nelle armonie con gli altri musicisti. Ad esempio la formula ABAA è composta da una prima frase di 8 o 12 misure (A), a cui si alterna una seconda frase chiamata bridge (B) e si conclude con la ripetizione di altre due volte della prima frase (AA). I musicisti possono improvvisare sugli schemi degli “standard”, cioè composizioni che sono diventate repertorio comune con il tempo.  Inoltre spesso si ricorre a dei “pattern”, delle successioni melodiche e ritmiche tipicamente riconoscibili, delle sequenze predefinite.

Anche nel Coaching esiste una struttura definita, “elasticamente rigida” con il giusto grado di flessibilità e rigidità.  Nelle sue tre fase di Esplorazione, Elaborazione Esecuzione troviamo sicuramente una “rigidità” nella direzione dell’obiettivo ma anche una flessibilità nell’armonizzare le parti in relazione alla “musica” che si co-crea con il coachee.

Nell’esplorazione si focalizza l’argomento e l’obiettivo della sessione attraverso delle domande volte a specificare concretamente (metodo Smart) l’obiettivo stesso, che non può rimanere vago.

Nell’elaborazione si va a sviluppare il potenziale attraverso il presente percepito e la creazione di un futuro desiderato. Si va a stimolare inoltre la consapevolezza delle risorse e la mobilità percepita.

Nell’esecuzione si definisce un obiettivo di extra-sessione e un piano di azione per avanzare nel percorso desiderato definendo ostacoli, facilitazioni, monitoraggio.

Ne esce un flusso a spirale direzionato all’obiettivo di sessione e funzionale alla consapevolezza: Il flusso ha la libertà di indagare la narrazione del coachee nei termini di diverse dimensioni all’interno delle tre fasi (esplorazione, elaborazione, esecuzione).

 

2. Improvvisazione come processo creativo

Il coach ha il compito di guidare il processo attraverso la struttura. Non può predeterminare prima delle sessione come lo farà, attraverso quali domande, quali specifiche tecniche. Non sa mai esattamente cosa dirà al cliente, non può affidarsi a qualcosa di già scritto. Il coach deve attingere in maniera estemporanea, con la sua creatività, alla suo scatola degli attrezzi, alle sue risorse. “L’invenzione estemporanea”, l’improvvisazione, è frutto dell’ascolto, dell’intuizione, del saper cogliere dalle parole, dalle emozioni del coachee. È un duetto in divenire, irripetibile.  Spesso l’improvvisazione viene erroneamente intesa come assenza di regole. Invece è la capacità di adattare le conoscenze possedute, l’esperienza, l’intuizione, al contesto e alle circostanze che si vengono a creare.

Il processo creativo all’interno del jazz è il dialogo tra i musicisti.   E’ un’ “inter-azione non scritta” di varie idee ritmiche, melodiche, armoniche e lo sviluppo di esse attraverso meccanismi intuitivi. Ogni musicista è unico, con il suo modo di esprimersi e il suo modo di interagire.

Per poter suonare con altri musicisti va sottintesa la conoscenza della struttura, ma è nell’estemporaneità del momento che un musicista sceglie come portare il suo contributo. Lo fa attraverso l’ascolto degli altri, ed è frutto di una grande esperienza.

Padroneggiare questi linguaggi significa riuscire ad aver sviluppato senso melodico, ritmico, controllo, capacità di sviluppo. E’ frutto di un lavoro e un’impegnativa preparazione. Sembra un paradosso ma per improvvisare richiede una grande preparazione! “L’improvvisazione dipende, infatti, dal fatto che i pensatori abbiano assorbito un’ampia base di conoscenze musicali, comprese una miriade di convenzioni che contribuiscono a formulare idee in modo logico, convincente ed espressivo. (Berliner, P. F.2009 Thinking in jazz: The infinite art of improvisation, University of Chicago. )

 

3. La presenza di Kairos e Kronos

Il trombettista Wynton Marsalis nel suo libro “Il jazz ti può cambiare la vita” afferma: “Il jazz ti parla del potere di adesso. Non c’è sceneggiatura, è conversazione. L’emozione te la danno i musicisti quando devono prendere una decisione immediata per soddisfare quello che a loro avviso l’istante richiede.”

Per parafrasare Marsalis la musica ti impone di stare nel presente, nel “qui e ora”, in presenza, con un approccio di apertura verso l’altro, in ascolto di quello che sta succedendo, concentrato sul linguaggio delle persone, sull’espressività delle loro emozioni. Solo attraverso questo approccio posso comprendere quello che sta avvenendo. Ancora dalle parole di Marsalis “Il jazz ci insegna a essere a tempo. Ci sono sempre tre fattori del tempo in gioco quando sei sul palco: il tempo reale (il freddo implacabile trascorrere dei secondi e dei minuti), il tuo tempo (come tu senti passare il tempo reale) e il tempo dello swing (come tu adatti il tuo tempo perché il tempo reale diventi il nostro tempo)”

Nel Coaching il concetto del “qui e ora”, del “tuo tempo” si esprime con il Kairos, che non è cronologico ma è’ il tempo vissuto, quello della percezione, che dipende dagli stati d’animo, dai sentimenti. Gli antichi greci avevano queste due parole per il tempo: mentre Kronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale, quantitativo, Kairos infatti significa “un tempo nel mezzo”, un momento senza durata nel quale “qualcosa” di speciale accade.

Il coach deve essere abile a sapere gestire il Kronos, il passare cronologico del tempo (il tempo reale) la conoscenza della struttura, mantenendo un atteggiamento di natura qualitativa sul presente (kairos), creando lo “swing” quel tempo in cui ci si adatta all’altro per creare il flusso maieutico.

 

4. Tecniche funzionali al processo

La comunicazione è il principale strumento a disposizione del coach in cui si instaura la relazione con il cliente. Rimanendo all’interno del processo tra musicisti si notano delle assonanze del processo. Tra le tecniche usate dal coach ci sono: l’ascolto, le domande, il silenzio, i feedback.

ASCOLTO

La capacità di ascolto partecipe e in sintonia è essenziale per mettere nelle condizioni l’altro di potersi esprimere, di poter essere compreso, di raccogliere le informazioni, di essere empatici senza farci coinvolgere nell’intensità per preservare l’oggettività delle informazioni.

Nel jazz l’ascolto è uno strumento creativo di ricerca.  Nell’ascolto si dà spazio all’altro. Marsalis nel suo libro scrive “Per farci sentire dovevamo ascoltarci l’un l’altro. Con estrema attenzione. Per suonare bene dovevamo fidarci gli uni degli altri

DOMANDE 

Le domande nel coaching stanno alla base del movimento, creano una danza, stimolano la capacità di vedere oltre tramite la consapevolezza.   Sono esplorazioni, necessitano di tecnica precisa e affinata per essere “potenti”.

Nella musica ci sono delle input che possiamo chiamare domande che stimolano delle risposte. Tecnicamentesi chiamano “botte e risposte”. Creano un flusso costruito continuamente da delle domande da risolvere e dalle risposte da cercare. “Ascoltando un grande gruppo jazz si sente che i musicisti rispondo tra loro al richiamo delle improvvisazioni con proprietà, eleganza, grazia” Marsalis

IL SILENZIO

Nel coaching è funzionale al “qui e ora”, favorisce l’ascolto, facilita la riflessione e la consapevolezza del coachee. È un potente “elemento di generazione”, volto a stimolare lo spazio personale del “cliente”, è una suono non emesso, la scelta intenzionale di non intervenire per non interrompere la l’elaborazione del pensiero.

ll silenzio in musica è la musica stessa. Non potrebbero crearsi delle frasi, se non senza pause, respiri che permettono il crearsi di nuove frasi.  I silenzi in musica sono inviti, sono accenti per permettere all’altro di entrare, di portare nuovi significati in continuità o in contraddizione con quelli precedenti.  Il concetto è estremizzato da una frase del pianista jazz T. Monk  “Il rumore più forte del mondo è il silenzio”.

FEEDBACK D’ASCOLTO

Nel coaching la restituzione dell’informazione ha una valenza in cui il coach si mette nella posizione di specchio senza reinterpretare. È molto funzionale perché fa riflettere il cliente su quello che lui stesso ha appena elaborato. Il coachee si sente ascoltato, percepisce un valore di sintesi.

Nel jazz il feedback esiste con una valenza diversa. Una concetto viene ripreso, riformulato ma quasi spesso rielaborato con significati diversi, è come se una frase venisse valorizzata, ripetuta per essere poi subito trasformata, rimodulata. La parafrasi viene eseguita con un carattere interpretativo.

 

5. Mindset come competenza

Come è stato riportato la tecnica è fondamentale per poter padroneggiare una sessione di coaching. L’efficacia però sta nell’acquisire il giusto mindset per poter esercitare la tecnica. Una tecnica fine a se stessa rischia di incagliarsi e perdersi nel nozionismo. Il “saper essere” è caratterizzante.

Tra le diverse competenze del coach voglio sottolineare alcune in particolare che risaltano nell’approccio del coaching:

  • Lo sviluppo e il mantenimento di una mentalità aperta, curiosa, flessibile e centrata sul cliente
  • Il mantenimento della sua presenza, consapevolezza di se, di sentirsi a proprio agio nel lavorare nello spazio del “non sapere”.

 

Questo presuppone per il coach la capacità di non innamorarsi delle proprie idee, di superare i personalismi e di puntare ad un risultato che non sia il proprio.  Il coach è responsabile del processo, della relazione, del metodo ma non dell’obiettivo del cliente.

Inoltre Il coach:

  • coltiva fiducia e sicurezza,
  • dimostra rispetto dell’identità, percezioni, stile e linguaggio del cliente
  • riconosce e rispetta l’unicità dei talenti, delle intuizioni del cliente nel processo

 

Per agganciarmi al jazz riporto dal libro di Marsalis riporto le seguenti frasi:

“La componente più pregiata nella musica jazz è l’unicità del tuo suono. E’ con il suono che il jazz ti porta al nocciolo di te stesso e dice: “Esprimi proprio quello”. Ogni musicista ha i suoi punti di forza e le sue debolezze. Ci fa pia­cere ascoltare un musicista che fa fatica con la sua parte; se facciamo uno sforzo e impariamo ad accettare i lati forti e deboli di noi stessi e di chi ci circonda, la vita diventa molto più semplice. E un campo in cui è un errore dare giudizi netti e definitivi”

 

Nel jazz si instaurano delle dinamiche di cooperazione, anche se ci sono relazioni di leadership o followership all’interno di un gruppo formato da più musicisti. C’è necessità di avere sempre una mentalità aperta, curiosa flessibile e centrata sugli altri. Questo è indispensabile per poter costruire una relazione musicale basata sulla fiducia, sulle intuizioni, sul rispetto di stili e linguaggio.

Una grande caratteristica in comune tra coaching e jazz è “l’essere unico e irripetibile” del cliente da una parte e l’unicità espressività di un musicista dall’altra. La regalità della persona si può esercitare se ci si libera da giudizi. Uno sguardo che ti porta a lavorare con la materia che il cliente ci propone senza attribuire etichette.  L’individuo è una persona unica, irripetibile: un valore. “Il jazz è la forma artistica più flessibile di tutte perché dà fiducia al gusto dei singoli. Crede nella nostra capacità di fare scelte sensate. Si assume il rischio di basarsi sulla nostra iniziativa piuttosto che imporre regole scritte e gerarchie che limitano la libertà. Rispetto e fiducia: ecco quello che insegna il jazz”. E ancora “Il jazz affronta la totalità delle cose non solo ciò che è giusto o sbagliato. Come il blues che è la sua anima il jazz ci parla di quello che c’è” (Marsalis)

 

6. Errore come movimento

Il mindset che presuppone il “sapere di non sapere”, la ricerca, “l’assenza di giudizio” risulta efficace per creare un movimento in entrambi i processi: musicale e di coaching. Pensare di fare o dover fare la cosa giusta può immobilizzare. È in questa chiave che invece la possibilità di poter sbagliare può dare una ricchezza inaspettata al flusso. Quando l’errore si stacca dal giudizio diventa esperienza oggettiva. Materiale di lavoro. Opportunità. Crescita. Nel Coaching come nel Jazz.

Ad esempio nel famoso concerto di Ella Fitzgerald a Berlino nel 1960, da cui sarebbe stato tratto l’album Ella in Berlin: Mack the Knife, si possono apprezzare delle improvvisazioni cariche di ritmo e brio, frutto degli errori nel non ricordare le parole del testo e dover vocalizzare parole inventate al momento.

L’errore può essere dunque parte della composizione fino a diventare un punto di forza, un elemento su cui giocare, un movimento. Si suona senza paura di sbagliare. Se non attribuiamo il senso dell’errore, la nota mancata può essere un arricchimento su cui improvvisare.

L’eccellenza dipende proprio dal modo in cui ascoltiamo i nostri “errori”, dall’uso che ne facciamo, da cosa possono produrre, come possono spingerci verso nuovi significati. L’errore diventa in tal senso fisiologico, fa parte del “fare”, apre al miglioramento e va in direzione opposto al perfezionismo. Infatti l’atteggiamento perfezionista è depotenziante perché è pervaso emotivamente dall’insoddisfazione. Si focalizza l’attenzione sul risultato perdendo di vista invece il processo realizzativo.

 

Conclusioni

Sono state passate in rassegna 6 elementi di indagine tra il processo creativo del jazz e il flusso a spirale del coaching.

Innanzitutto entrambi i processi hanno un’architettura data da una forma: la struttura. L’output è diverso: nel coaching attraverso un duetto relazionale abbiamo una mobilità e dunque una maggiore consapevolezza del cliente verso la realizzazione del suo obiettivo, nella musica jazz l’output è una forma estetica derivante dal dialogo e dalle co-narrazioni tra musicisti.

Alla base del processo non c’è nulla di già scritto, ma c’è un estemporaneità del divenire che ho definito come “l’improvvisazione del processo creativo”.  Per dare luogo all’improvvisazione in maniera efficace è funzionale stare in un tempo qualitativo del “qui e ora”, denominato kairos, pur non perdendo di vista la cronologia della sessione e la relazione con l’altro. L “improvvisazione” in entrambi i casi non è mai frutto del caso ma anzi di una padronanza del linguaggio, degli strumenti funzionali come l’ascolto, il silenzio, le domande, il feedback. La tecnica è la costruzione di un bagaglio in cui sia il musicista, sia il coach hanno investito tempo e molte energie per poter gestire con esperienza il flusso.

Sembra quasi ci sia un paradosso. Da una parte la conoscenza del processo e delle tecniche funzionali dall’altro una presa di consapevolezza maieutica del “so di non sapere”. Charlie Parker diceva “«Impara a memoria tutte le scale e arpeggi, e poi dimenticale quando suoni”.  Per certi versi per vivere il “qui e ora” è importante “imparare a disimparare”, porsi come un foglio bianco di fronte al cliente, dimenticando che tipo di domande abbiamo imparato per lasciare spazio al “flusso costruttivo dell’improvvisazione”.

La conoscenza del tecnicismo in ogni caso va supportata da una competenza fulcro: il mindset del coaching. Stare nell’apertura, nella fiducia, sapere di non sapere, rispettare l’unicità delle risorse, in assenza di giudizio solo alcune delle competenze che contraddistinguono il metodo e che trovano assonanze anche nel processo creativo del jazz. E’ da questo approccio che ci si apre al movimento. Il flusso in quanto tale è in antitesi all’immobilismo. Il significato dell’errore ad esempio non va visto come una mancanza ma come opportunità da rielaborare per dare ulteriore significato e ricchezza al percorso.

Concludo con un’ultima citazione di Marsalis che mi appare come centrale nel percorso che tiene unito il metodo del coaching, l’improvvisazione jazz e la nostra capacità quotidiana di stare in relazione:

 

Nella musica come nella vita un ascolto serio ti obbliga a riconoscere gli altri”.

 

 

 

 

Andrea Mantovan
Consulente Aziendale e Business Coach
Padova
andrea.mantovan@gmail.com

 

 

 

 

Bibliografia

Assanti Castaldo, “Blues, Jazz, Rock, Pop. Il novecento Americano.” 2004

Berliner “Thinking in jazz: The infinite art of improvisation”, University of Chicago. 2009

Marsalis “Il jazz ti può cambiare la vita” 2009

Panitti Rossi “L’essenza del Coaching”2012

Sparti “Suoni Inauditi. L’improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana” 2005

 

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