
Dall’obiettivo alla scoperta del daimon attraverso il Coaching
Per trovare una risposta alla domanda che ho formulato all’inizio del percorso per diventare Professional Coach – e che svelerò in seguito – ho definito un mio itinerario fra gli argomenti che hanno suscitato in me grande interesse, a partire dagli obiettivi per arrivare alla scoperta del Daimon attraverso il Coaching.
Obiettivi di vita, di carriera, aziendali, di studio, sportivi e l’elenco può continuare. Viviamo in un’epoca in cui tutto ci parla di obiettivi da inseguire e obiettivi da raggiungere.
Vale la pena dunque porci la domanda:
Questi obiettivi, cosa rappresentano davvero, per noi?
Sono, semplicemente, i risultati che vogliamo ottenere?
Seneca, uno dei massimi esponenti dello stoicismo, ci ha insegnato che
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
La teoria del Goal Setting elaborata da Edwin Locke e Gary Latham, e la successiva implementazione, ci insegnano che un obiettivo per essere efficace deve essere SMARTER:
- Specific (specifico)
- Measurable (misurabile)
- Attainable (raggiungibile)
- Relevant (rilevante)
- Timely (definito in uno spazio temporale)
- Ecological (ecologico, coerente con l’ambiente, l’identità e i valori personali)
- Recorded (registrato, scritto).
Nell’ambito del Coaching, la definizione dell’obiettivo autodeterminato dal Coachee è fondamentale perché favorisce l’impegno, consapevolizza e responsabilizza il Coachee che vuole concretizzare i propri desideri.
Ma tutto questo ci aiuta davvero a rispondere alla domanda iniziale? Ci dice cos’è, per noi, un obiettivo?
Se sono le emozioni future ciò che ricerchiamo davvero più ancora che i risultati fini a sé stessi, allora ciò che definisce il nostro obiettivo è come ci sentiremo e quali emozioni proveremo ad obiettivo raggiunto.
In questo modo però corriamo due rischi:
1. Ipotizzare qualcosa che non accadrà. Dopo infiniti sacrifici per raggiungere un obiettivo, convinti che una volta ottenuto questo risultato avremmo dato maggior senso alla nostra vita, ci accorgiamo invece che, a distanza di poco, ricompaiono la sensazione di inadeguatezza, un senso di vuoto, la preoccupazione per il futuro e di conseguenza il bisogno di rincorrere una nuova meta ancor più ambiziosa
2. Legare il nostro stato emotivo al raggiungimento di un traguardo futuro. In questo modo ci siamo però convinti che finché non avremo raggiunto quel traguardo saremo infelici, insoddisfatti, insicuri, scontenti e ansiosi.
Questa tendenza a sopravvalutare l’impatto positivo che avrà il raggiungimento di un obiettivo, sottovalutando contemporaneamente come altri eventi o sentimenti possano influenzare il modo in cui ci sentiamo, è stata riassunta nell’espressione Arrival fallacy, coniata per la prima volta dallo psicologo di Harvard Tal Ben-Shahar. Nella sua teoria spiega che la felicità non è una destinazione statica che si raggiunge dopo aver raggiunto un obiettivo. Il raggiungimento di un obiettivo può darci una spinta a breve termine, ma i nostri livelli di felicità continueranno a salire e scendere in base a molti eventi interni ed esterni.
Per metterci al riparo dalla trappola dell’Arrival fallacy dobbiamo cambiare prospettiva rendendo il processo di raggiungimento dei nostri obiettivi importante quanto il risultato, portando in superficie quelle che sono le esperienze e gli stati emotivi che desideriamo vivere ogni giorno nella nostra vita.
Per utilizzare gli obiettivi a nostro favore questi devono darci la possibilità di vivere le emozioni che desideriamo non solo ad obiettivo raggiunto, ma anche e soprattutto durante la pratica quotidiana necessaria alla loro realizzazione.
Anziché partire dai traguardi dobbiamo focalizzarci su ciò che accende il nostro fuoco interiore, sulle esperienze che ci spingono positivamente nella vita e sulle emozioni che vogliamo provare ogni giorno.
Una risposta efficace a questa esigenza può essere trovata in un percorso di Coaching e in modo ancor più specifico in un percorso di Coaching Evolutivo® che ci può accompagnare alla scoperta delle nostre facoltà innate. Il Coaching Evolutivo® è infatti “un approccio di Coaching che, fondandosi sulla Relazione Facilitante fa leva sulle Meta-potenzialità proprie dell’essere umano (Consapevolezza, Autodeterminazione, Responsabilità e Eudaimonia) che, adeguatamente allenate e sviluppate nel Coachee, consentono il pieno utilizzo del potenziale e la sua trasformazione in risorse agite e utilizzate per i propri obiettivi”.
Nella teoria CARE® che sta alla base del Coaching Evolutivo®, l’Eudaimonia, la Meta-potenzialità che trovo più affascinante, non è soltanto uno stato di felicità da raggiungere bensì una facoltà innata e universale dell’essere umano che risponde alla pulsione interna a dare voce a tutto ciò che definisce in modo peculiare la nostra unicità e irripetibilità. L’Eudaimonia è la Meta–potenzialità che conduce alla felicità nell’autorealizzazione, concetto caro alla Psicologia Umanistica e alla più recente corrente della Psicologia Positiva.
L’Eudaimonia, la forza che accende il nostro fuoco interiore, ci porta direttamente al concetto di Daimon, concetto che mi affascina e che ho desiderato approfondire.
Il daimon è la voce segreta dell’anima, un richiamo che ci invia messaggi talvolta inquietanti, ma che ci induce a realizzare il nostro destino e diventare ciò che autenticamente siamo.
Il concetto di daimon è presente nel pensiero di J. Hillman, studioso delle strutture archetipiche del mito. Nel suo libro più noto, Il Codice dell’Anima, racconta le vite di personaggi famosi e dimostra come le scelte decisive sono dovute appunto al daimon dal quale dipende la realizzazione del nostro destino.
La teoria della ghianda di Hillman, spiega che ciascuno di noi possiede in sé l’essenza di ciò che è destinato ad essere, la propria vocazione. Come nella ghianda è presente la quercia che non attende altro che di esprimersi, allo stesso modo ciascun individuo è portatore di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima ancora di essere vissuta.
Questa “essenza” è riconosciuta anche da A. Maslow che scrive: “Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare soltanto quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire, le capacità sono bisogni, e pertanto sono pure valori intrinseci…”.
Allo stesso modo C. G. Jung sostiene che il daimon è la vocazione dell’anima, un’immagine primaria che pulsa nell’essere umano richiamandolo ai suoi talenti e alla sua chiamata interiore. Un archetipo che risiede in noi e che, nonostante i traumi, le condizioni di vita (e la crudele amnesia dell’essere umano nei suoi confronti), grida per ricordargli la motivazione per cui è al mondo.
In tempi più recenti, I. Dionigi nel suo libro, Segui il tuo demone, scrive “Nozione complessa, quella del demone, «equivoca e inafferrabile» per la sua duplice appartenenza alle sfere religiosa e filosofica, e per la sua duplice dimensione esterna e interna all’uomo, già a partire da Omero e dal pensiero pitagorico. […]. Un concetto che progressivamente slitta dal piano mistico e religioso a quello umano, senza tuttavia recidere completamente il filo che lega terra e cielo, visibile e invisibile, dentro e fuori: e che sarà alla base stessa dell’idea di «felicità» (eudaimonia): quello stato nel quale siamo assistiti da un «buon (eu) demone (daimon)», una sorta di angelo custode”.
Ma cosa è davvero il daimon e perché è così importante?
Dal punto di vista etimologico la parola non ha un’origine certa ma l’ipotesi più accreditata vuole che derivi dal greco δαίμων -ονος, letteralmente “distribuire destini”. In questa accezione il daimon è un’entità o energia che assegna all’essere umano il proprio destino personale.
Il termine fu poi adottato dalla cultura romana. In latino daemon –ŏnis, letteralmente “demone”. In senso figurato è inteso invece come “spirito” o “genio”, personificazione di una passione che agita il cuore dell’uomo.
Nella lingua italiana la traduzione è “demone“: una entità intermedia tra il divino e l’umano, capace di influire beneficamente o maleficamente sulle nostre azioni. Nel suo significato originario il daimon non è un essere negativo (il demonio) ma ha una duplice natura, benefica e malefica.
Il filosofo Platone nel Mito di Er raccontato nella Repubblica, ne delinea i tratti e la funzione e lo trasforma in uno degli archetipi più importanti della cultura occidentale. Il Mito di Er narra di come l’anima, prima della nascita, scelga il proprio destino come immagine primordiale da seguire. All’anima viene donato un genio tutelare che la accompagna, il daimon, la cui funzione è quella di ricordarle il suo destino e di assicurarsi che venga realizzato. Questo perché l’anima, una volta incarnata nel corpo, dimentica tutto ciò che è accaduto precedentemente e pensa di essere nata vuota. Solo grazie al daimon non perderà la memoria del proprio destino.
Gli studi di Jung e Hillman hanno fatto del daimon un concetto cardine della psicologia analitica insegnandoci l’importanza di riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana a cui l’intera nostra vita deve tendere.
Dal rapporto con questa entità interiore, dipende la possibilità per noi esseri umani di esprimere la nostra vocazione. Nel momento in cui rifiutiamo di entrare in relazione con il nostro daimon questo ci tormenterà per la vita intera.
Perché è così difficile stabilire un rapporto positivo con il nostro daimon?
Il mito narra che dopo la nascita l’essere umano dimentica il disegno che la sua anima ha scelto, come pure la sua vocazione, il suo genio e i suoi talenti.
Molti di noi vorrebbero esprimere le proprie vocazioni e vorrebbero che i propri talenti fossero riconosciuti da chi ci circonda. Non essere in grado di esprimere il nostro daimon può causare un senso di frustrazione. Qualcuno pensa di non avere una vocazione particolare o addirittura di non averne nessuna. Solo pochi sentono chiara la voce del proprio daimon e riescono a instaurare con questo un dialogo. Chi ne è capace manifesta apertamente i propri talenti, ottenendo successo e riconoscimento.
La motivazione principale per cui questo accade è che il daimon non è parte della nostra identità sociale. Il daimon anzi è fuori da tutto ciò che comporta il rispetto delle regole sociali, familiari, culturali, etiche e morali; non desidera compiacere nessuno. Il daimon è un archetipo dell’inconscio e in quanto tale pura esplosione creativa, un’energia incompresa dalla realtà esterna.
Quello che troppo spesso facciamo è non dare ascolto al nostro daimon, non sentire la sua chiamata, rinunciando così a seguire la nostra vocazione.
Che fare allora?
Un percorso di consapevolezza interiore come quello del Coaching e del Coaching Evolutivo® in particolare può costituire lo strumento adatto su cui far leva per accedere a questo archetipo e comprendere la natura della nostra vocazione e i talenti che abbiamo a disposizione per manifestarla nella vita.
In ogni sessione di Coaching il Coachee ha la straordinaria opportunità, mediante la proiezione nel suo Futuro Desiderato, di fare esperienza delle emozioni che desidera vivere grazie alla focalizzazione su ciò che accende il suo fuoco interiore, entrando in contatto con il suo daimon. Questa condizione consente al Coachee non solo di valorizzare le proprie caratteristiche personali e ambientali (potenzialità) ma soprattutto di trasformarle in risorse efficaci. Queste risorse agiranno sul comportamento del Coachee che diverrà funzionale e finalizzato al raggiungimento degli scopi e degli obiettivi che si è prefissato.
Ed ecco che risulta ora chiara l’importanza di focalizzarci sull’ascolto della nostra voce interiore per dare risposta alla domanda iniziale, ”gli obiettivi, cosa rappresentano davvero, per noi?”. Al termine di questo mio percorso di ricerca, mi sento di rispondere che gli obiettivi non sono un fine bensì il mezzo attraverso il quale possiamo proiettarci nel futuro che desideriamo dando modo al nostro potenziale di esprimersi, al nostro daimon di manifestarsi con la nostra unicità e alle nostre emozioni più profonde di venire in superficie spingendoci a vivere pienamente le esperienze che desideriamo non solo ad obiettivo raggiunto ma ogni giorno della nostra vita.
A conferma di questa tesi riporto quanto espresso in proposito nel Coaching Evolutivo®, dove si afferma che “l’autodeterminazione degli obiettivi del Coachee è una condizione sì necessaria, ma non sufficiente, poiché gli obiettivi del Coachee, e di conseguenza la sua attivazione, sono strettamente legati al suo benessere e alla autorealizzazione, in un percorso di convergenza Eudaimonicadel suo Sapere, del suo Fare e del suo Essere”.
Conclusioni
È arrivato il momento di svelare la domanda appuntata sul mio quaderno il primo giorno del corso di Professional Coaching e dalla quale tutto è partito:
“Perché voglio diventare un Coach anziché essere un Coachee?”
Perché attraverso lo studio teorico e la pratica del Coaching, esercitata sia nel ruolo di Coach che in quello di Coachee, ho potuto accompagnare i miei compagni/Coachee alla scoperta delle loro potenzialità e della loro unicità e, in prima persona, ho potuto fare esperienza del mio Futuro Desiderato, vedere la versione di me stessa che ha sviluppato pienamente le sue capacità, le sue inclinazioni e ha dato finalmente ascolto al gigante che sonnecchiava dentro e mi rendeva interessata e attratta da specifiche esperienze e desiderosa di vivere determinate emozioni.
E ora ho un mio Feedforward, anzi, una mia missione: essere al fianco di ogni mio futuro Coachee per accompagnarlo nell’avventurosa scoperta del suo daimon e nella costruzione della sua Eudaimonia e chissà che, strada facendo, non vada incontro anch’io, finalmente, al mio Daimon.
Giovanna Perduca
Project Manager e Professional Coach
Monza
giovanna.perduca@gmail.com
Riferimenti
Platone (circa 380/370 a.C.), La Repubblica
Jung C. G. (1992), Ricordi, sogni, riflessioni
Hillmann J. (1997), Il codice dell’anima
Pannitti A. e Rossi F. (2019), L’evoluzione del Coaching – La teoria del Meta-potenziale CARE®
Dionigi I. (2020), Segui il tuo demone e https://www.youtube.com/watch?v=I7Aw_PWaE_I
The arrival fallacy: why we should decouple our happiness from our goals – https://nesslabs.com/arrival-fallacy
Ringraziamenti
È il momento di dire GRAZIE, in ordine sparso, a chi ha reso possibile ed emozionante il mio percorso per diventare Professional Coach.
GRAZIE a Fabio, compagno di vita e di avventure, che anche questa volta mi ha spinta con gentilezza. Senza di lui sarei ancora qua a dire “magari il prossimo anno”.
GRAZIE a Franci, che ha studiato con me ogni sera in videochiamata da Bologna e mi ha fatto riscoprire “i classici” attraverso il prof. Ivano Dionigi, che di Daimon scrive e parla in modo affascinante. GRAZIE a Leo, che ha insistito dicendo che posso ancora studiare perché la memoria “basta allenarla”. GRAZIE a Fede, che mi ha dato il buon esempio e ha imparato a scrivere “da grande”.
GRAZIE ai miei fantastici compagni di corso, che hanno reso il percorso piacevole e spesso molto divertente.
GRAZIE ad Alessandro che a fine giugno al telefono mi ha rassicurata quando gli ho chiesto “Ma io, ce la posso fare?”. GRAZIE a Franco, a Matteo e a Silvia, insegnanti straordinari. GRAZIE a Giorgia, sempre precisa e puntuale nel supporto amministrativo.
E infine GRAZIE ai miei genitori, che non hanno ancora capito cos’è il Coaching ma che si ricordano una trasmissione TV in cui “c’era un coach che faceva superare a un ragazzo un momento difficile con delle attività interessanti che non credeva neanche di saper fare”.
No Comments