
I 5 principi della comunicazione di Watzlavick nel cinema di fantascienza
Da quando è stata inventata la macchina da presa, tra realtà e cinema c’è sempre stato dialogo, contaminazione, intreccio, in quanto l’una è ispirazione per l’altro e l’altro a volte è anche anticipatore di quanto poi accade nella prima.
Nel caso della fantascienza, la cinematografia porta visioni, suggestioni, racconti di mondi possibili e non, da cui possiamo trarre riflessioni e spunti per le nostre quotidiane elaborazioni di pensiero.
Approcciando i 5 principi della comunicazione di Paul Watzlavick a questo genere cinematografico, trovo suggestivo immaginare come potrebbero funzionare nel momento in cui, nel caso estremo, due razze diverse dovessero venire in contatto: la parte verbale, a cui diamo così importanza nella vita di tutti i giorni, dovrebbe essere completamente accantonata, mentre saremmo costretti a concentrare tutta la nostra attenzione alla parte para-verbale e soprattutto non verbale.
La decodifica del non verbale sarebbe ulteriormente resa difficile dalla diversità delle strutture corporee e dalle manifestazioni fisiche della razza aliena, insomma, sarebbe un vero rompicapo!
Senza arrivare a situazioni come sopra, c’è curiosità registica e sceneggiativa nell’immaginare quanto possa espandersi ed essere indagato quel 93% che non è il linguaggio in sé, ma quello che evoca; il corpo, che è cassa di risonanza di un fonema che cambia a seconda del luogo geografico.
Paul Ekman, psicologo statunitense ancora in vita, è stato il pioniere nello studio e riconoscimento delle emozioni attraverso le microespressioni facciali.
Egli sostiene che le stesse e le emozioni non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni, ma sono universali ed uguali in tutto il mondo, indicandone quindi un’origine biologica, non evoluzionistica.
In particolare, dopo uno studio nella tribù isolata della Papua Nuova Guinea, nel 1972 identificò 5 emozioni universali (rabbia, disgusto, tristezza, gioia, paura e sorpresa), le cosiddette emozioni di base.
Nel 1992 ne aggiunse altri, arrivando fino a 12.
Quale valore aggiunto questa capacità nel riconoscerle potrebbe dare al coach durante la sessione per mantenere e rinsaldare la relazione facilitante?
A mio parere molto, perché il bravo coach dovrebbe essere in grado di leggere anche le emozioni del coachee, così da sintonizzarsi sul suo stato emotivo e accompagnarlo prima nel recupero dell’autogoverno e poi nell’elaborazione di un piano d’azione che sostenga il suo movimento psicologico.
La difficoltà però è la velocità con cui queste espressioni si manifestano nel volto delle persone, pertanto occorre tanto senso dell’osservazione ed esercizio per potersene accorgere.
Per tornare al tema di questo piccolo contributo, la parte non verbale della comunicazione si esprime attraverso le emozioni che proviamo, la cui modalità di espressione diventa un codice universale che accomuna il genere umano.
Ma cosa succederebbe se arrivassero gli alieni e dovessimo comunicare con loro?
Con questo breve scritto azzarderò parallelismi tra i 5 assiomi della comunicazione formulati dallo studioso e altrettanti film di fantascienza, genere al quale sono da sempre appassionato.
1° Principio – Non è possibile non comunicare
In “Arrival”, film recente del visionario ma discontinuo Denis Villeneuve, questo principio viene portato all’estremo quando si tratta di comunicare con una razza aliena: le due razze, nel loro progressivo approccio, condividono i loro modi di comunicare che all’inizio sono incomprensibili ad entrambi.
Il focus del regista si sofferma sugli sforzi di alcuni scienziati, in particolare una filologa, che riescono a decodificare via via il linguaggio degli alieni attraverso un processo logico-emotivo in cui sembra che solo gli umani siano parte attiva, quando in realtà gli alieni interagiscono attraverso altre dimensioni (lo spazio tempo) inaccessibili ai primi.
La comunicazione avviene in questo caso attraverso piani inediti e inaccessibili tra esseri umani, ma percorribili tra razze diverse.
Altro film paradigmatico in tal senso è “Interstellar” di Christopher Nolan: qui il protagonista Cooper (Matthew McConaughey), comunica dalla quinta dimensione in uno spazio-tempo-luogo dello spazio con la figlia Murph attraverso il movimento meccanico della lancetta dell’orologio che le aveva lasciato prima di partire per lo spazio, traducendo complesse equazioni matematiche in linguaggio morse: punto -linea.
2° Principio – La comunicazione si sviluppa su due piani: il contenuto e la relazione. Il piano della relazione classifica il contenuto della comunicazione
In questa personale selezione filmografica entra a pieno diritto “Inside Out”, il cartone animato del 2015 della Pixar che attinge a piene mani dal lavoro di Ekman: all’interno della mente di Riley Andersen, una ragazzina di 11 anni che vive nel Minnesota, vivono cinque emozioni: Gioia, Disgusto, Paura, Rabbia e Tristezza, efficacemente rappresentate attraverso 5 personaggi immaginari, i quali interagiscono nella vita della bambina definendo le relazioni che ha con le persone con cui entra in contatto e che consente di osservare quanto questa definiscano il contenuto delle comunicazioni durante lo svolgimento della trama
3° Principio – La relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze della comunicazione
Mi viene in mente quasi subito il film “Incontri ravvicinati del terzo tipo” dell’inesauribile Steven Spielberg che nel 1977, stesso anno di uscita del primo capitolo di Guerre Stellari, inscena questa fantascientifica storia.
Il momento clou è quando sulla montagna su cui gli alieni avevano fatto capire che si sarebbero palesati agli umani, lo scienziato Roy (Richard Dreyfuss) trova un modo di comunicare con una razza aliena che non segue i paradigmi della comunicazione verbale, paraverbale e non verbale.
La musica, riprodotta secondo uno schema che traduce in suoni i rumori che la nave aliena emette, diventa il ponte di collegamento tra due specie che nulla hanno in comune, ma che attraverso il meccanismo stimolo -> risposta -> rinforzo trovano un linguaggio comune anche se mancano tutti gli elementi a cui accennavo sopra, peraltro con un’intensità crescente, a dimostrazione di quanto possa essere efficace questa triade comunicativa.
4° Principio – Esiste sempre una comunicazione logica ed analogica
In “Contact”, film del 1977, troppo presto dimenticato, del grande Robert Zemeckis, Ellie (Jodie Foster), scienziata che fin da piccola ha cercato di captare i suoni dell’universo alla ricerca di un’altra forma di vita intelligente, alla fine riesce a mettersi in contatto con questi esseri extraterrestri che adattano la loro comunicazione in modo da poter essere compresi.
Infatti Ellie parte con un’astronave costruita seguendo le istruzioni aliene e viaggia attraverso diversi tunnel spaziotemporali, vedendo sistemi stellari e meravigliosi avvenimenti cosmici di fronte ai quali rimane stupefatta, per approdare infine su un corpo celeste ignoto, che le si presenta con l’aspetto di un bellissimo ricordo infantile. Gli extraterrestri che da tempo cerca le parlano tramite un loro rappresentante che le compare con le sembianze ed il comportamento di suo padre: gli extraterrestri hanno quindi esaminato i ricordi di Ellie per crearle un’atmosfera familiare.
In “Inception” di Christopher Nolan del 2010 tale assioma viene portato agli estremi perché la comunicazione viene portata nell’ambito dell’attività onirica in cui la parte analogica (il sogno) definisce e contiene la parte logica in un intreccio che scava più livelli dell’inconscio umano, creando una serie di piani analogici in cui si muovono le parti logiche.
5° Principio – La comunicazione è simmetrica e complementare
Pregevole esempio in tal senso è il film del 1982 “E.T. l’extraterrestre” diretto ancora da Steven Spielberg: qui la creatura aliena stabilisce con Elliott, il bambino protagonista, una comunicazione/connessione così forte che ciò che prova l’alieno viene simmetricamente vissuto dal ragazzo; quando l’essere beve tutte le birre in frigo e si ubriaca, Elliott in classe si sente anche lui ubriaco, perdendo il controllo del suo corpo; quando l’alieno vede in televisione John Wayne baciare Maureen O’Hara nel film Un uomo tranquillo, Elliott bacia una compagna di classe nella stessa maniera.
Probabilmente alcuni accostamenti potranno risultare forzati o non plausibili, tuttavia il senso di questo lavoro è stato quello di provare ad ampliare i confini delle teorie di Watzlavick “fino ai confini dell’Universo e oltre!”
Emanuele Smerieri
Responsabile del Capitale Umano d’Azienda
Mirandola (MO)
emanusme@yahoo.it
No Comments