
Il Coaching: la Confessione laica che valorizza l’unicità dei talenti
“Voglio ricordare le superate mie cattiverie e le carnali corruzioni dell’anima mia, non perché io le ami, ma affinché ami te, o Dio mio”. Così si esprime Sant’Agostino in uno dei passaggi più significativi delle sue Confessioni, mirabile testimonianza di un cammino di fede, certamente, ma ancor di più vero e proprio percorso di formazione – lungo 13 libri – che lo porta ad acquisire piena coscienza di sé, delle sue risorse, delle sue maturate consapevolezze.
La citazione del capolavoro per antonomasia della letteratura cristiana “dà la stura” a questa trattazione, con la quale ci si propone di evidenziare le possibili analogie tra il Coaching (inteso sia come percorso che come singola sessione) ed il Sacramento cattolico della Confessione, necessario sì per la remissione dei peccati, ma anche indispensabile momento di acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che è giusto fare in ogni aspetto della vita, sia essa famiglia, lavoro, doveri civili di cittadino.
L’Associazione Italiana Coach Professionisti definisce il Coaching “un metodo di sviluppo personale, che si basa sulla relazione di fiducia tra Coach e Coachee al fine di valorizzare e allenare le potenzialità del Coachee per il raggiungimento di obiettivi definiti”; la Fondazione Rui sottolinea come il Coaching “favorisca o acceleri un cambiamento personale”. Nella Chiesa cattolica, la Confessione sostanzia un percorso di conversione, inteso come cambiamento della persona e del suo modo di giudicare e agire etico, in cui il credente, che si pente del male compiuto, viene accompagnato dal sacerdote a riflettere su dove e come ha sbagliato.
Al pari del Coaching, la Confessione ha un profondo valore catartico: così come il Coachee, al termine di ogni sessione, “porta a casa” un progresso, un miglioramento, il credente “perdonato” impara a sua volta ad usare misericordia nei confronti del prossimo e porta dentro di sé e nel mondo in cui vive il cambiamento derivante dalla presa di coscienza di sé e dalla riconciliazione con Dio.
Coaching e Confessione, ciascuno nel proprio ambito, valorizzano l’individuo nella sua unicità, nelle sue peculiarità; tanto il Coach quanto il Sacerdote sono abili “a stare” nel “kairos”, nel qui ed ora della sessione/confessione, “nell’hic et nunc” in cui si viene a trovare l’individuo perchè il “kronos” non può nè deve condizionare nessuno degli attori in campo. Niente ansia di prestazione, nessun memento di autocelebrazione tanto del Coach quanto del Sacerdote: solo attenzione e comprensione per i bisogni dell’individuo che desidera ed intraprende – con non poco coraggio – un percorso di crescita e di cambiamento.
L’attenzione al “viaggio” catartico della persona si manifesta altresì nel codice etico e nella riservatezza che tanto il Coach quanto il Sacerdote sono tenuti ad osservare. È fondamentale, dunque, avere un preciso mindset, oltre a mettere in atto una continua pratica riflessiva, a sostenere ed incentivare l’importanza della partnership con la persona oltre che l’importanza della consapevolezza culturale, sistemica e di contesto. In quest’ottica, sia il Coach che il Sacerdote indossano particolari “lenti a contatto”, che rendono capaci di non giudicare, bensì di valorizzare il potenziale, le risorse ovvero quanto c’è di buono e positivo nella persona.
Ne nasce, quindi, un dialogo, a tratti semplice, a tratti complesso, ma inevitabilmente fecondo, in cui domande efficaci, rimandi e silenzi costruiscono le chiavi di volta del cambiamento intrapreso dalla persona.
Il tema del dialogo – caro al Sacerdote ma non meno al Coach – risente evidentemente dell’eredità del pensiero greco, che nel Coaching in particolare trova una fenomenale declinazione nel dialogo maieutico di tradizione socratica. Anzi, per dirla alla John Stuart Mill, filosofo ed economista britannico del XIX secolo, meglio un Socrate insoddisfatto che un imbecille soddisfatto: “Interrogo gli altri ma poi io stesso non manifesto nulla su nessun argomento… non sono affatto sapiente in qualche cosa, né ho alcuna sapiente scoperta che sia come un figlio generato dalla mia anima”. Ecco, il saper essere empatico, autentico, non giudicante, umile proprio in quel senso socratico di “sapere di non sapere” della premiata ditta C&C.
Ma se non c’è Coachability, così come se non c’è Confability, non si parte nemmeno! Perché tutto muove da un forte desiderio di cambiamento da parte del Coachee, tanto quanto del penitente: il Coachee desidera veramente togliere il tappo a ciò che blocca l’espressione delle sue potenzialità, dando libero sfogo alle sue risorse inespresse? Il Cristiano intende veramente pentirsi delle sue malefatte, comprendere gli errori e intraprendere un percorso di vita sano e retto nel nome del Signore? Si accede, quindi, allo studio del Coach, così come al Confessionale del Sacerdote, solo se c’è una chiara, netta, forte volontà di intraprendere un percorso in questo senso, firmando realmente un Patto di Coaching ovvero condividendo interiormente un vero e proprio Patto di Fede.
Non è un caso che anche il Coaching abbia il suo testo “sacro”, con un Antico ed un Nuovo Testamento: le undici competenze principali tracciate dalla International Coach Federation nel 1995, lasciano spazio alle rinnovate otto competenze principali del 2019 (dopo un’analisi rigorosa durata due anni), senza tralasciare nel mezzo la fondamentale norma Uni 11601:2015, che di fatto rappresenta la Bibbia nazionale che definisce, classifica e caratterizza la pratica del Coaching nostrano, a seguito della legge 4 del 14/01/2013 con le sue disposizioni in materia di professioni non organizzate.
Come dicevamo, il presupposto di base della richiesta di un intervento – laico o sacramentale che sia – è rappresentato da una chiara volontà della persona, espressa in piena e totale autonomia, senza condizionamenti o pressioni esterne: si volo, possum, perché ciascun individuo può certamente prendere coscienza delle sue potenzialità, attuare un cambiamento nella sua vita solo se lo vuole, solo se lo desidera fortemente.
Dopo di che è imprescindibile che tra gli attori in campo, Coach e Coachee e Sacerdote e Cristiano, si instauri una relazione facilitante, imperniata sulla reciproca fiducia. La fiducia è quel manto erboso che rende la partita equilibrata, avvincente, spettacolare, efficace, come dire una partita da campionato di Serie A. E a proposito di A, sono quattro gli elementi – che iniziano con la lettera A – che delimitano il campo di azione di una sessione di Coaching e di una Confessione: Accoglienza, Ascolto, Alleanza, Autenticità.
Il Coach ed il Sacerdote accolgono la persona nella sua unicità; la ascoltano attivamente con una vicinanza/distanza tipiche dei luoghi in cui viene esercitato il Coaching e la Confessione; ne diventano alleati senza se e senza ma; sono autentici nel vero senso della parola, arbitri incorruttibili che garantiscono la regolarità della partita, sancendone l’inizio e la fine.
La premiata ditta C&C ha quindi una mission ben definita: facilitare la riflessione e la consapevolezza dell’individuo e per farlo, oltre alle domande efficaci, si serve di due strumenti potenti come il feedback di ascolto ed il silenzio.
Infatti, rispetto, al racconto del Coachee e alla confessione del Cristiano, tanto il Coach quanto il Sacerdote si mettono in ascolto attivo, “restituendo”, senza attaccamento, qualcosa che hanno percepito a livello di pensieri ed emozioni.
Per non parlare poi di quel silenzio, forte e potente, che sale in cattedra nei momenti topici della sessione di Coaching e della Confessione, permeando i muri dello studio del Coach così come le pareti del confessionale. Un silenzio assordante, che aiuta a pensare, a ragionare, a mettere in moto qualcosa dentro di sé, incentivando la riflessione e la consapevolezza.
Questo momento di riflessione, di maturazione di nuove consapevolezze da parte della persona è il passaggio fondamentale della sessione di coaching e della confessione, un momento che merita di essere ritualizzato, celebrato nella dovuta maniera perché è un passaggio emozionante di un percorso dell’individuo, che da piccola ghianda comincia a prendere le fattezze di un albero di quercia.
Come cita la Bibbia nazionale del Coaching – la norma Uni 11601:2015 – la valorizzazione delle risorse e del potenziale della persona nonché la responsabilizzazione della persona sui propri obiettivi e scelte permea l’agire professionale del Coach. Di fatto, trattasi del medesimo approccio spirituale che caratterizza la missione dei ministri della Chiesa.
Ecco quindi che l’Individuo compie di fatto un viaggio unico ed inimitabile e non potrebbe essere altrimenti visto che nessuno è uguale ad un altro e che la bellezza del mondo è disegnata dalla diversità di ciascun essere vivente:
Siamo unici, unici (tutti!), gli unici…
Anche se, non lo saprà nessuno…
Nessuna novità su questa madre terra, perché
Incontrarti è già la più grande scoperta
(“Unici”, Nek, 2018)
Il Coachee ed il Credente giungono quindi a definire l’obiettivo, che è un potente regolatore della condotta umana. La Bibbia laica della norma Uni ci ricorda che gli obiettivi vengono esplicitati e collegati nell’ambito di un piano di azione, che a sua volta risponde a quattro interrogativi: perché (obiettivi); cosa e come fare (azioni, compiti, progetti); quando (quando svolgere l’azione, durata, con quale frequenza, in quale arco temporale), chi (chi fa cosa, chi supporta, chi dà feedback).
Parallelamente, il percorso spirituale della Confessione offre al Credente la possibilità, dopo aver compreso e ammesso le sue mancanze, riflettuto e maturato nuove consapevolezze cognitive, emotive e comportamentali, di promettere a sé stesso, prima ancora che al Sacerdote o a Dio, quali obiettivi darsi, cosa, come, quando e con chi fare cosa, per far sì che il cambiamento maturato dentro di sé, si concretizzi nella quotidianità, sia essa famiglia, lavoro, doveri civili di cittadino (da piccoli ci viene insegnato a “fare i fioretti” per essere più buoni e bravi con genitori, fratelli, insegnanti, amici ecc.).
Ecco, probabilmente, dopo aver definito obiettivi e relativi piani di azione per raggiungerli, come chiede sempre il Coach al suo Coachee, è forse un buon momento per concludere questa trattazione (?). Di certo, non è necessario recitare alcuna preghiera di penitenza rivolta a Dio (sic!); tutt’al più, i credenti più oltranzisti potrebbero lasciarsi andare ad un’intima riflessione infarcita da una canonica preghiera…
E allora, come direbbe il Coach al suo Coachee, cosa ci portiamo a casa da questa trattazione? Quali vantaggi abbiamo ottenuto? Qual è stato il momento più rilevante della trattazione? Passando sotto lo striscione “Finish”, senza voler essere troppo Coach o Sacerdoti, senza recitare troppo la parte di Coachee o Credente, l’aspetto più rilevante che dovremmo sempre tenere a mente, mettendolo in pratica nella nostra quotidianità, è quello di riconoscere e rispettare l’unicità delle persone e dei loro talenti.
Perché se da un lato c’è lo sguardo della persona aperto al cambiamento, dall’altro c’è l’atteggiamento di un Coach e di un Sacerdote che preservano e, per certi versi, esaltano l’unicità della persona.
Un brindisi agli unici
Solleviamo questi calici…
Premiamoci!
Quella grinta ci è rimasta
Miglioriamo sempre più
Evviva la maturità!
Ci aspettiamo novità
Fuochi da accendere
Noi che conosciamo ormai
L’arte di crescere.
(“Unici”, Renato Zero, 2010)
Paolo Maria Dellisanti
Direttore Marketing e Comunicazione Stylgrafix Italiana e Coach Professionista
Scandicci (Fi)
p.m.dellisanti@gmail.com
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