
Il compito che ci aspetta: essere coach cosa significa?
Ouverture.
Spesso una professione felice prende vita dalla coerente espressione che sappiamo dare alle nostre passioni, ai nostri desideri e alle nostre unicità.
Poiché l’essere implica ad un tempo percepirsi ed essere percepiti, ci vuole un’attitudine riflessiva e multi-prospettica, al contempo creativa e incline alla prospettiva di caring for (nell’ accezione di far fiore), per assecondare il proprio desiderio di essere coach. Ecco dove tutto può avere inizio.
La questione induce a una peculiare forma mentis. Percepire se stessi come coach richiede infatti la sensibilità e la cognizione stabile diretta a tradurre, concretamente nel proprio lavoro, il valore che sappiamo dare nella vita ai beni relazionali. Trattasi nello specifico di saper tutelare e realizzare un capitale personale costitutivo di fiducia, ascolto, alleanza, accoglienza, autenticità, rispetto, quali elementi prodromi alla professione del coaching. Non solo.
Motivazione.
Scegliere di divenire coach implica una postura etica prima ancora che professionale, capace di guardare specularmente a sé e agli altri come un continuum divenire, una progettualità sempre aperta, in attesa di evoluzione, feconda di risorse e incline al cambiamento quale passaggio da uno stato potenziale a uno stato fattuale. Nell’etimo della parola coach si rivela già il compito a cui è chiamato attraverso la relazione con l’altro: allenare, supportare, favorire, far fiorire un soggetto (coachee) nella sua intima e originale essenza. Partendo proprio dalla storia e dalle inclinazioni personali che fanno del coachee un quadro poliedrico di stratificazioni e potenzialità, spetta al coach professionista supportarlo per rischiararle e valorizzarle, affinché con libero atto di arbitrio possa tradurre i suoi processi decisionali in obiettivi e poi in azioni.
Essere coach presuppone anche una costante attenzione alla parola pro-motiva capace cioè di stare sull’altro, marcata per una forza linguistica, non casuale, che sa curare il fraseggio della relazione facilitante e che espressa in modo funzionale, riesce a condurre l’ascoltatore verso una costruzione consapevole del senso del proprio pensare, sentire, agire. Lo scopo è poter mettere in atto, con l’altro di fronte, un dialogo propriamente maieutico centrato su un passaggio fondamentale: dalla passività riflessiva e boccante alla auto-creazione del coachee, dal suo potenziale inespresso alla risorsa consapevole. In funzione di questo, divenire coach comporta l’adesione ad una formazione specialistica attraverso cui affinare la propria inclinazione per renderla concretamente un mestiere da vivere.
Il lavoro di un coach diviene allora seriamente appassionante a partire dalla conquista di una competenza trasversale a tutto e a tutti: essere capaci di una dialettica edificata nell’esercizio del sentire dell’altro. È questione di metodo ed è questione di animus.
Vige un assioma: Parlare è già un primo agire. Essere coach non si sottrae a questa verità ma la oltrepassa. Presuppone infatti la consapevolezza che dire non è sufficiente al potenziamento dell’altro, bisogna saper comunicare cioè desiderare di arrivare a generare nel ’altro una sorpresa produttiva di idee e soluzioni insperate. Lo scopo è tendere con la parola, con la relazione facilitante e con il metodo, a innalzare la consapevolezza del coachee sopra il suo potenziale latente, informe, inespresso.
L’arte di domandare che è principale nel lavoro di un coach non è dunque pura improvvisazione. Al contrario presuppone competenza, attenzione focalizzata, l’abilità a porre in essere una presenza di ruolo sintonica e risonante per la controparte ascoltatrice. Ne consegue che chi si risponde scopre, progressivamente si trasforma, cambia ed evolve oltre i propri primi limiti o schemi mentali.
Essere coach significa soprattutto questo: farsi strumento di crescita personale, di un processo di individualizzazione dell’altro che passa attraverso la sua consapevolezza agita.
Esiste allora un breviario costitutivo del mind set del coach che si acquisisce, si allena e si ripete come un mantra nella pratica quotidiana: relazione facilitante, sviluppo del potenziale, autodeterminazione, azione consapevole, responsabilità, sono solo alcuni dei concetti che costituiscono concretamente il suo agire.
Pratica e soluzione.
Di tutto, per la nostra Scuola di Coaching Evolutivo® diviene principio e punto archimedeo il seguente pensiero: poiché, come dicono gli antichi, siamo sempre responsabili della forma che decidiamo di dare a noi stessi con il linguaggio, divenire coach presuppone una relazione di parola e di azione che non sia statica ma dinamica, non guidata da consiglio o prescrizione ma al contrario motivatrice, ispiratrice, innovatrice, che non sia normativa o giudicante ma piuttosto espansiva e fattivamente concretizzante l’unicità dell’altro. Per conseguenza, l’esperienza professionale del coaching abbraccia ad un tempo uno stile coerente tra saper fare, saper essere e saper divenire, ordinato alla massimizzazione del potenziale umano per favorire nel soggetto / coachee un atto più libero, consapevole e autodeterminato.
Di sintesi, essere coach si configura una professione che richiede una visione chiara del proprio ruolo, dove chiarezza di sé presuppone consapevolezza e rispetto dei quadri etici che la pratica di coaching comporta. Con la formazione presso la nostra Scuola di Coaching Evolutivo® si diventa professionisti esperti del metodo C.A.R.E. di cui siamo fondatori, poiché prepariamo gli aspiranti coach ad essere più efficaci e competenti a cominciare dalle seguenti funzioni:
- 1) Supportare il coachee nella esplorazione di sé stesso e del capitale energetico di unicità che lo contraddistingue;
- 2) Ottimizzare la propria capacità di ascolto attivo e di dare feedback significativi, nell’ ottica di generare una sorpresa produttiva e feconda, sia nel pensiero che nell’agire del coachee;
- 3) Acquisire metodi e tecniche per poter fare chiarezza e portare a consapevolezza i significati della vita personale del coachee;
- 4) Affinare strategie comunicative che consentono di veicolare l’auto- motivazione, perseveranza e direzione profittevole per la realizzazione dei suoi obiettivi;
- 5) Disporre e padroneggiare esercizi pratici per sviluppare e potenziare capacità di problem solving e decision making;
- 6) Utilizzare in modo creativo e dinamico tools per aiutare il coachee a superare condizionamenti limitanti e schemi mentali disfunzionali, all’interno di una proiezione di conquista di una vita eudemonica, cioè felice in ordine al soddisfacimento dei propri scopi fondamentali.
Proprio quest’ultimo punto ci riporta all’inizio di tutto: per la Scuola di Coaching Evolutivo® essere coach presuppone un’attitudine e una disposizione morale ordinata al concetto ontologico della “ghianda” * per il quale occorre “divenire ciò che si è in essenza”. Lo scopo? Desiderare, abbracciare, seguire il passo e il senso della propria vocazione professionale. Nosce te ipsum.
Se sei interessato a saperne di più perché stai cercando un orientamento formativo puoi rivolgerti al seguente link: https://www.incoaching.it/contatti/. Siamo a disposizione per un ogni tipo di necessità informativa.
(*Concetto coniato dal filosofo/psicanalista Hillmann)
In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®
Flavio Grasselli
12 Aprile 2023at15:57Quando ho letto il codice dell’anima di Hillmann la mia vita è cambiata la prima volta.
Dopo la formazione con voi, con Franco, Alessandro e Marco, una seconda volta: quella decisiva, da vocazione ad azione.
Spero un giorno possa essere la mia professione, ma la cosa più bella è che la formazione ricevuta sta spingendo me ad agire in direzione del mio daimon.
Grazie.
PS: Bellissima newsletter!