Categoria: Il meta-senso Trascendente

Categoria: Il meta-senso Trascendente

Il meta-senso Trascendente

“La condizione umana è infelice, anche per i privilegiati fra noi…. Raggiungiamo traguardi ‘impossibili’ e otteniamo successi a lungo perseguiti, ma subito dopo ci chiediamo: ‘E adesso?’… Alla fine tutto ci appare non-senso.”

 

E’ questa la tesi iniziale del breve e profondo saggio di Sadi Marhaba, docente di psicologia all’Università di Padova, “Il meta-senso come unico senso possibile” (Ricerca di senso, Vol. 9, n.1, febbraio 2011, pp. 11-26).

 

La lettura della trama della vita, secondo Marhaba, mostra che ogni tipo di piacere alla fine delude, che ogni momento di presunta felicità trascorre inesorabilmente rivelando la propria intrinseca vacuità, che persino dopo ogni cambiamento realizzato ci si accorge che la realtà rimane di fatto uguale.

Inoltre, “La conoscenza del mondo, che faticosamente costruiamo, ci appare alla fine non diversa dall’ignoranza, essendo ambedue egualmente infinite.”

 

Di fronte alla realtà del non-senso, Marhaba individua alcuni approcci sbagliati alla vita.

C’è chi ha paura di guardare in faccia alla propria condizione infelice e trascorre la vita passando da una disillusione all’altra; chi, al contrario, la guarda in faccia e se ne lascia uccidere; chi pensa che la soluzione sia rinunciare ai desideri; chi, da cinico opportunista, pur sapendo che tutto è fumo, crede che ”la soluzione consista nel venderlo come se fosse arrosto. Per esempio fanno soldi vendendo ricette di felicità materiale e spirituale – come i guru del ‘pensiero positivo’. Si credono più furbi della condizione infelice, ma in realtà la incarnano più delle loro vittime.”

 

Per Marhaba, ed è questo il passaggio cruciale del saggio, la giusta reazione al non-senso può essere soltanto il meta-senso, cioè l’andare al di là di qualsiasi tentativo di attribuzione di senso mediante il riferimento alla trascendenza di Chi è radicalmente Altro-da-noi, cioè Dio.

“Noi snaturiamo ciò che cerchiamo perché gli diamo un senso. Per riuscire a sbarazzarci delle nostre attribuzioni di senso dobbiamo uscire completamente da noi stessi. Abbiamo bisogno di Altro-da-noi…”

“Dio è il Radicalmente Altro perché è al di là di ogni possibile attribuzione di senso. Non si tratta della semplice fede nell’esistenza di Dio, ma della Sua ineffabile Trascendenza, che non deve essere confusa con la Sua Onnipotenza…”

L’unico senso possibile nella nostra vita è l’attesa del senso sconosciuto che Dio Trascendente custodisce per ciascuno di noi e protegge da ciascuno di noi. Quando lo conosceremo, ciò significherà per noi una drastica ristrutturazione, che possiamo intuire poiché anche nella vita terrena siamo capaci di ristrutturazioni – seppur mai di ‘quella’ ristrutturazione… Solo la Trascendenza è in grado di farci superare le nostre attribuzioni di senso. Solo Essa è in grado di farci superare la nostra condizione infelice.

 

Tra le implicazioni positive della Trascendenza di Dio, Marhaba sottolinea il potere vivere liberamente “come gli uccelli del cielo” senza sforzarsi inutilmente di interpretare o volere comprendere la vita.

Ma la vera prova che il meta-senso sia la soluzione al non-senso della vita è che esso rappresenta, secondo Marhaba,  l’unica  risposta possibile al dolore.

“Grazie al meta-senso, quando il dolore bussa alla nostra porta, sappiamo che esso non bussa ‘a caso’, poiché il ‘caso’ è solo un’attribuzione illusoria di senso; ma sappiamo anche che il dolore, in generale e per noi qui e ora, può essere solo non-senso… Il non-senso del dolore necessita del meta-senso.”

 

La radicalità di pensiero di Marhaba si conclude con un esempio:

 

“Se desideravo molto un figlio e non ho mai potuto averlo, malgrado tutti i miei tentativi, non devo consolarmi con l’auto-inganno, scegliendo l’una o l’altra delle molte attribuzioni di senso possibili: che è stato meglio non averlo avuto, perché se l’avessi avuto avrei dovuto rinunciare ad altre cose importanti; che avrei potuto essere deluso da questo figlio, come vedo succede a molti genitori; che il mio amore verso il figlio mi avrebbe distolto dall’amore verso l’umanità; che Dio non me l’ha dato perché questo rientrava in un Suo più grande disegno su di me; che Dio ha voluto temprare la mia anima; che non lo meritavo, a causa delle mie colpe;…  e così via.

No: non ho avuto il figlio che tanto desideravo, e questa è stata per me una perdita secca. Un dolore da riconoscere come tale, uno smacco, un fallimento della mia più profonda progettualità. Tuttavia, so che avrò, da Dio, ciò che cercavo desiderando un figlio, anche se non so come questo sarà possibile. Ma so che Dio lo sa, e ciò mi basta e avanza.

 

E se il “senso sconosciuto che Dio Trascendente custodisce per ciascuno di noi e protegge da ciascuno di noi” fosse intrinsecamente legato ad una presa in carico volontaria e responsabile della propria vita da affrontare come protagonisti attivi anziché  spettatori passivi, utilizzando compiutamente le potenzialità ed i propri talenti innati, nonostante l’ineludibile comparsa del dolore e del non-senso di molte vicende personali?

 

Un percorso di coaching conduce ad un approccio realistico e costruttivo alla vita, che di per sé non confuta l’opzione del meta-senso Trascendente.

Il “senso” del coaching sta tutto nel concetto di agentività (agency), cioè nella facoltà umana di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale (A. Bandura).

 

Di fronte ad una realtà di sconforto, come quella descritta dall’esempio di Marhaba, una possibile concreta risposta al non-senso potrebbe essere la scelta volontaria, consapevole e responsabile di diventare genitori adottivi, di accogliere un bambino abbandonato che se non venisse mai adottato vivrebbe il proprio dolore del non-senso ancora più drammaticamente del mancato genitore biologico. L’agentività di due aspiranti genitori adottivi crea l’incontro di tre dolori colmi di non-senso, che può generare ciò che Marhaba stesso riconosce come una “ristrutturazione” nelle vite dei singoli protagonisti.

 

Tale ristrutturazione è figlia sia della Trascendenza, sia della capacità di amare. Amore che la Psicologia Positiva (da non confondersi con ciò che Marhaba definisce il “pensiero positivo” di alcuni guru) indica come una delle potenzialità umane innate ed universali.

 

Alessandro Pannitti

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