Categoria: Una sessione d’emergenza

Categoria: Una sessione d’emergenza

Una sessione d’emergenza

La crisi di autogoverno 

Non so che cosa scrivere. Non ho idee. Non mi viene in mente alcun argomento che possa essere adatto. Qualcosa che abbia a che fare con il coaching, qualcosa che mi piacerebbe approfondire, qualcosa che mi ha colpito…qualcosa! Non è difficile! È talmente vasto il panorama di scelta che davvero andrebbe bene tutto. Ma quando va bene tutto a me non va bene nulla. Può essere anche qualcosa di personale, ma vorrei trovare un argomento che non mi esponga troppo, che non racconti di me…Perché poi? Non lo so. Sono dell’idea che sarà tutto più facile se trovassi quell’argomento, quella tematica sintetica, funzionale e aderente alla consegna, che ponga un accento moderato su un qualche aspetto del coaching. Cerco con un po’ di esasperazione nella mia mente: gli studi passati, gli appunti presi, gli spunti colti alle lezioni. Potrei attingere dalla letteratura, potrei prendere un libro e metterlo in relazione con il coaching. Ad esempio potrebbe essere interessante Sunset Limited di McCarthy: un’opera teatrale costruita tutta attorno ad un unico dialogo tra due soli personaggi identificati come un nero e un bianco. Il nero, che ha portato a casa sua il bianco dopo avergli impedito di suicidarsi, potrebbe essere un potenziale coach; il bianco, un potenziale coachee.

No, a dir la verità, rileggendo velocemente il testo, questo dialogo mi sembra tutto tranne che coaching. Posso dirlo con certezza perché nella mia testa ancora risuona una frase che ho sentito alla primissima lezione di coaching:

Al coach degli obiettivi del coachee non gliene frega nulla…

Solo questa distanza porta il coach ad avere un buon rapporto con il Kronos; solo questo “atto etico” consente al coachee di essere l’unico responsabile del suoi obiettivi. Bene, allora in questo dialogo tra il bianco e il nero si può dire che non c’è assolutamente questa distanza. Il nero ha un obiettivo molto chiaro: vuole continuare a salvare il bianco, vuole capire, vuole indagare e ha una gran paura di fallire perché sa che se fallirà nel dialogo il bianco si ucciderà. Gliene frega eccome degli obiettivi del bianco e ne è ricattato per tutto il tempo. Cerca di tenerlo a parlare il più possibile, ha il terrore di fallire e forse anche lui, proprio come me che mi affanno a cercare un argomento perfetto – qui per fortuna c’è meno in ballo della vita di un uomo – , è lì che cerca la domanda perfetta, la frase perfetta, la chiave dialogica perfetta che possa aprire le porte risolutive della vita del bianco. Purtroppo non troverà le parole giuste, non riuscirà a convincerlo…chissà forse se avesse fatto un percorso diverso il bianco sarebbe arrivato ad una diversa conclusione…non lo sappiamo e non lo sapremo mai.
Comunque la conclusione di tutto questo discorso è che questo libro non va bene per il mio articolo, non lo posso scegliere come argomento. Quindi niente, devo cercare altro. Negli studi ho già rovistato, dove vado ora?
Il tempo passa e mi accorgo sempre di più di come un pensiero sull’altro non facciano altro che creare l’effetto Netflix cioè quel circolo vizioso e infinito in cui mi trovo quando sono di fronte a tutti quei film, documentari e serie tv. Guardo tutte le locandine, faccio scorrere continuamente i titoli come infinite possibilità di una slot machine che posso fermare quando voglio, ma non fermo mai. Non decido mai. Il troppo mi disorienta. Continuo a cercare intorno a me e mentre sfoglio il libro L’essenza del Coaching in modo compulsivo arriva come un flash la frase dell’Oracolo di Delfi:

Se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi non potrai trovarlo nemmeno fuori.

 

Esplorazione

Potrebbe sembrare paradossale, ma per trovare un argomento sul coaching mi ci vorrebbe davvero una sessione di coaching. Una sessione d’emergenza. Direi che almeno per la sessione l’argomento ce l’ho. Tuttavia, se ci fosse qui davanti a me un coach mi farebbe dire l’obiettivo della sessione.

Cosa voglio ottenere? Voglio sbloccare la mia mente in modo che possa trovare un tema per l’articolo.
Come mi vorrei sentire quindi alla fine della sessione? Sbloccata, tranquilla, in grado di decidere liberamente.
Cosa mi farà capire di aver raggiunto l’obiettivo? Sarò in grado di iniziare a scrivere.
Quanto è importante per me? Fondamentale se voglio quagliare qualcosa.

Direi che ci siamo: l’obiettivo è unico e specifico, misurabile, attuabile, rilevante (molto rilevante), e temporale.

 

Elaborazione

Ora vediamolo bene questo presente percepito. Com’è la situazione? Sono qui un po’ sulla scrivania, un po’ sul letto, un po’ in piedi che cerco un tema da trattare…come mi fa sentire questa ricerca? Esasperata e anche un po’ infastidita. Esasperata perché sto faticando molto nel trovare la giusta combinazione e infastidita perché come sempre mi imbatto in una me stessa complicata e incontentabile. Dove la sento questa esasperazione? Nel respiro…non respiro bene e liberamente, sono bloccata dall’ansia…è questo foglio bianco di word che ho davanti a mettermi ansia. Ho parlato di esasperazione, di fastidio, complicatezza, incontentabilità e ora ansia… come stanno insieme tutti questi aspetti? Sono tutte sensazioni che stanno bene insieme creando una bella muraglia cinese ogni volta che mi trovo di fronte ad una qualunque tipologia di performance. A fare da calce alla muraglia temo sia sempre e solo una cosa: l’esito che mi guarda. Mi guarda come un grande pagliaccio che mi sorride diabolicamente mentre ripete la frase “non sei all’altezza, non ce la farai”. Questo pagliaccio si chiama Perfezionismo e ha il naso rosso del senso di colpa, i capelli arruffati della frustrazione, il trucco marcato e bianco della paura di sbagliare.

Ora mi teletrasporto, salgo sulla mia bella macchina del tempo e vado nel futuro. È giovedì 23 febbraio, ho consegnato l’articolo quindi ho trovato un argomento e l’ho messo giù in bella copia. Come mi sento? Sollevata, soddisfatta e tranquilla. Dove sento questo sollievo? Respiro pienamente fino alla profondità del diaframma.
Cosa è successo? Ho commesso un omicidio: ho ucciso la perfezionista che è in me. Ho ucciso il pagliaccio, o meglio…non l’ho proprio ucciso. Gli ho tolto il naso rosso e la parrucca, ho lavato via il suo trucco bianco e spaventoso e ho scoperto una cosa interessante: c’è una bambina dietro al pagliaccio, che senza tutto quel pesante mascheramento mi sembra tanto indifesa. Sorride in modo semplice e innocente, ha le braccia aperte come a dire “finalmente libera…quanto pesava quella maschera!” Che cosa mi ha permesso di smascherare il pagliaccio? Non lo so…Forse mi è tornata in mente una frase che mi ha detto qualcuno tempo fa…

Un errore è grave solo se ti blocca, solo ti ferma impedendoti di progredire, di avanzare nel percorso di crescita.

Forse invece di rimanere incastrata nella trappola della perfezione, in quella gabbia chiusa a doppia mandata dal ricatto dell’esito, forse sono riuscita a dar più spazio al desiderio di sperimentazione, alla voglia di mettermi in gioco. Forse quell’ideale arido e lontano, quell’aspettativa impossibile, è diventata la spinta e non l’obiettivo. Questo passaggio mi ha permesso di togliere all’errore quella punta di veleno giudicante così da trasformarlo in fonte di scoperta, di curiosità, di apprendimento, di proattività. (L’essenza del Coaching, 2012).

Quindi cosa ho scoperto su di me? Ho scoperto di avere il sacrosanto diritto di sbagliare e contemporaneamente il sacrosanto dovere di impegnarmi al massimo in quello che faccio. Quella bambina dentro il pagliaccio non è una che si accontenta, vuole fare qualcosa di qualità, vuole spingere fuori quello che ha e costruire…vuole spingere fuori ex – cellere. Vuole sostituire il ben fatto impacchettato al work in progress, vuole puntare all’eccellenza.

E che caratteristiche ha questa bambina? È tranquilla, sorridente, colorata…che colori ha? Giallo, blu e rosso: i colori primari, che si mescolano di tanto in tanto tra di loro creandone sempre di nuovi…è ricerca, è sperimentazione, è scoperta. E se questa bambina potesse parlare cosa direbbe? Di bruciare la muraglia cinese con due semplici scintille: curiosità e voglia di imparare. Di buttare giù sul foglio di word le intuizioni che ho e di lavorarle al meglio delle mie possibilità.
Come mi fanno sentire queste parole? Rassicurata, sollevata e più tranquilla. Decisamente più tranquilla rispetto allo stato di partenza.
Ho capito che prima di una qualunque performance devo abbattere in un modo o in un altro la muraglia cinese, che temo si creerà ogni volta. Diciamo che ora so come posso abbatterla, mi resta solo una cosa… provarci.

 

Esecuzione

Quindi ora da qui al prossimo ipotetico incontro che cosa voglio ottenere? Voglio scrivere l’articolo. Voglio buttare giù i miei pensieri e partire da lì. E qual è concretamente la prima azione che farò? Mi chiederò cosa mi ha insegnato questo corso e, senza pensare ai massimi sistemi, inizierò a scrivere provando a rispondere a questa domanda. Non so cosa verrà fuori, ma so che devo iniziare. Cosa mi farà capire che sto andando verso il mio obiettivo? Piano piano le pagine di word si riempiranno. C’è qualcosa che può impedirmelo? Sì, il pagliaccio sempre lì in agguato. E come posso neutralizzare questo pagliaccio? Riascoltando una canzone, una canzone che adesso, forse, sento davvero per la prima volta:

Nel mezzo c’è tutto il resto e tutto il resto è giorno dopo giorno
 e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire
e costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione.
(Costruire, Niccolò Fabi 2006)

 

 

Maria Cecilia Tondi

Responsabile Recruiting, Training Specialist & Professional Coach
Riccione
mcecilia.tondi@gmail.com

 

 

 

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