Categoria: La centratura del Coach: mi sento davvero ok?

Categoria: La centratura del Coach: mi sento davvero ok?

la centratura del coach

La centratura del Coach: mi sento davvero ok?

La parte e l’intero

La fine è l’inizio di tutto. Il momento è eccitante: ti sei da poco diplomato Coach e ora prendi posizione all’interno della tua visione professionale. È uno speciale piacere e tutto porta con sé il sapore di un cominciamento. È la condizione propizia per mettersi alla prova su un altro piano, in parte sconosciuto, in parte avventuroso, in parte familiare. Il Coaching cambierà la veste dei tempi, dei piani e degli incontri.

Nulla sarà come prima, anche il tuo animus ha qualcosa di diverso.
Comunica un modo di tendere, di osservare, di guardare più a lungo e più in largo. Ti apri all’inedito e all’imprevedibile. Ne assumi consapevolmente il rischio. La formazione te lo ha spiegato bene ma ora spetta a te conquistare una rinnovata postura professionale.
“Il metodo mi assisterà”, pensi. Tutto è chiaro, in ordine, hai raccolto i punti focali delle tue precedenti esperienze e li hai connessi con le tue nuove conoscenze. E poi?

Poi incontri il Coachee e con lui/lei si apre una nuova e vivace vertigine dell’esperienza. D’improvviso capisci che il sapere non ti basta mai e neanche l’esperienza. Come potrebbe essere diversamente? Trattasi di categorie insature, per definizione inesauribili e incolmabili. Pensi, torniamo al primo passo: il metodo.
E poi? Per evitare che il conformismo prevalga sulla creazione, ritorni a te stesso e prima di aprire la sessione ti ricordi un passaggio fondamentale, trasversale a ogni cosa, radice di ogni tua futura parola ed azione: la centratura del Coach, che poi è l’inizio di tutto.

 

Keep Calm

Al riguardo mettiti tranquillo: non accadrà solo una volta bensì tutte le volte. Diverrà un esercizio costante di concentrazione, una preparazione mentale che anticiperà l’incontro con i Coachee della tua vita. Come afferma lo psicologo Facchinelli, “la formazione non è mai conformazione ad un ideale di compiutezza”. Rimane uno scarto, colmabile solo con l’esperienza. Durante la formazione hai appreso cosa significa la centratura del Coach, la sua attuazione però mette in discussione molto più del tuo sapere inziale.

Quando sei in sessione, assecondare il tuo desiderio di essere un Coach efficace, nella messa in atto di tutti i codici etici e pratici che la professione comporta, ti impegna a un costante esercizio di auto-ascolto e auto-controllo. La soluzione non è un enigma: un Coach sa bene quanto sia importante un’armonica interazione tra sensibilità, cognizione e motivazione che determinano il suo più peculiare materiale umano.  La questione è delicata.
La centratura del Coach si compie a partire da due principi cardine:

1) Equilibrio di sé. Nel linguaggio del Coaching assume la valenza di simmetria di relazione, asimmetria di contenuto, complementarità di ruolo, setting mentale focalizzato sulla percezione di sé stessi in atto di parola.
2) Supervisione di sé continua, non solo durante lo scambio con il Coachee ma soprattutto pre e post sessione.

Per cui discendono alcune domande interiori: chi sono e come mi sento, prima di incontrare il Coachee? Chi sono, dopo la sessione?

La capacità di stare sull’altro è sempre susseguente alla capacità di sentirsi, di accorgersi di sé stessi, di comprendersi, dando vita a una costante auto-riflessione sulle dinamiche razionali, emozionali, relazionali che qualificano l’incedere professionale.

In questi casi una domanda ben posta a te stesso, scomodando il vocabolario dell’Analisi transazionale di Berne, potrebbe essere la seguente: quanto mi sento davvero ok?  E’ in questo modo che si accende tutta la ricchezza di indagine sul proprio valore, sul proprio potenziale, sulla propria unicità che distingue per contrasti e contraddizioni le moltitudini inconsce del nostro pensare, parlare, percepire, valutare ed agire.

La posizione OKNESS di un Coach si muove costantemente sopra una ricerca di senso che lo induce ad attraversare, mediante il narrato del Coachee, la soglia del dubbio, della inadeguatezza di sé e con questa il sentore di una incompiutezza. L’effetto è trovarsi faccia a faccia con sé stessi scrutando la falsa presunzione dell’efficienza smascherata dall’imponderabile, dall’instabile, dalla possibilità di errore in cui ognuno può cadere.

Da questa prospettiva la centratura del Coach non si evince come qualcosa di incrollabile e stabile. Si presenta piuttosto come una dinamica terra di confine. Per sua natura è porosa e permeabile, sia nell’accezione di un rischio / incertezza, sia nell’accezione di   un campo di scoperta che muove scintille di innovazione, capaci di veicolare nel professionista sempre nuove idee.

Sapersi orientare sulla linea di confine, per tutelare il bene del proprio Coachee, significa anzitutto avere la precisa consapevolezza del bisogno che si è in grado di accogliere.

La centratura del Coach richiama all’accortezza sui propri limiti, all’onestà intellettuale nel rispetto della propria area di incompetenza e all’etica professionale, alla sospensione del giudizio verso sé stessi e verso il Coachee, all’attenzione verso una soluzione riflessiva più creativa che eccede per sua natura i pensieri auto-sabotanti.
Si tratta, in sostanza, di saper governare tutta la rotondità, la complessità e la poliedricità che edifica il proprio mondo interiore quando il ruolo professionale da Coach ci impone, per etica e per pratica di caring for, una presenza capace di sentire l’altro e di coinvolgerlo all’interno di una alleanza stabile, per guidarlo all’interno del suo processo di cambiamento.

 

Che poi basta prestare attenzione!

Quante volte, oggi, ti sei guardato così allo specchio? Ti capisco caro Coach, accompagnare l’altro in un processo di svelamento di sé scuote sempre anche se stessi in prima persona. Tuttavia, è questione di una febbrile gioia: entrare per una breve parentesi nella vita di un Coachee e asservire con pro-motiva sensibilità al suo bisogno di Felicità, contiene tutto il significato appassionante di essere un Coach.

Per tutto questo la Scuola INCOACHING® rimane in costante esplorazione della propria disciplina di studio.
In fondo, come afferma lo scrittore Brasiliano Sabino, “di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare e la certezza che se interrotti saremo in grado di fare dell’interruzione o dell’errore un nuovo cammino di trasformazione”.

Se io (Coach) sono ok, tu (Coachee) sei ok?  È qui che comincia la seconda narrazione legata al valore che sappiamo attribuire all’altro.

Leggi questo approfondimento e la potrai scoprire meglio.

 

In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®

1 Comment
  • Paola

    15 Settembre 2023at22:35 Rispondi

    Wow che leggerezza e che profondità nel descrivere il metodo e il ruolo… Al centro di tutto c’è comunque il mindful coach….

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