Categoria: Metafore: parole e immagini nella Storia del Coachee

Categoria: Metafore: parole e immagini nella Storia del Coachee

Metafore: parole e immagini nella Storia del Coachee

Nel corso delle sessione di Coaching, durante la fase esplorativa del racconto, in più occasioni ho rilevato l’utilizzo della metafora da parte del Coachee come una sorta di “metro linguistico” dello spessore di quanto il Cliente stesso sta (ri) vivendo; non si tratta di attribuire l’utilizzo del linguaggio figurato a una particolare forma di espressione verbale né di creare alcun nesso di tipo causa/effetto, bensì di porre in evidenza un fenomeno che, dall’esperienza nonché rielaborazione personale, mi ha dato modo di riflettere su una delle tante sfaccettature della relazione tra Coach e Coachee. Il disagio di cui il Cliente è portatore si materializza nelle sue parole in forme imprevedibili, a volte ricche di colore, altre con sfumature chiaro scure, altre ancora senza contorno e (all’apparenza) impenetrabili.

Immersosi nel mare percettivo della realtà del Cliente, il Coach inizia il suo lavoro di conduzione del Coachee verso una modalità narrativa quanto più chiara agli occhi del Cliente il quale, attraverso il suo rivelarsi in risposta alle domande del Coach, possa giungere a uno o più diversi punti di vista sulla situazione che sta vivendo. Seguendo le quattro caratteristiche del racconto costruttivo riportate da Pannitti e Rossi ne ‘L’essenza del Coaching’ (2012) come bussola di orientamento, mi sono reso conto della possibilità di addentrarmi nelle metafore usate dal Coachee, facilitando l’estrapolazione di contenuti più profondi, nel rispetto dell’utilizzo del linguaggio figurato del Cliente stesso.

Tengo a sottolineare che si tratta di una mia rielaborazione concettuale, il cui obiettivo è la condivisione di una pratica, senza la pretesa di generalizzare o ridurre la complessità del racconto del Coachee, che resta aperto a una moltitudine di chiavi di lettura a seconda sia di cosa intende trasmettere il Cliente sia su cosa decide di focalizzarsi il Coach.

La metafora, nella sua potente funzione di trasferire significati “da un piano logico a uno figurativo”, s’innesca nel momento in cui l’utilizzo del linguaggio abituale necessita di una sorta di sovrapposizione semantica, di un livello superiore che lo arricchisca di una carica espressiva più marcata, più vicina al senso profondo di ciò che si vuole far comprendere al proprio interlocutore e che, al tempo stesso, è rivelatrice di una traccia personale che ha preso o sta prendendo colore.

Questo livello di “meta trasporto” è una sorta di “racconto nel racconto” che, se da un lato, sembra spostare il dialogo tra Coach e Coachee su elementi di dettaglio o apparenti riformulazioni semantiche, dall’altro, può aprire uno scenario evocativo personale da cui (ri) partire per arrivare a uno spazio d’interazione fenomenico. Dalla mia esperienza, nei momenti in cui il Cliente adotta un linguaggio metaforico, il tono della conversazione e la comunicazione non verbale cambiano in maniera sensibile; il Coachee “si fa trasportare (o si trasporta)” in una dimensione in cui ha maggiore familiarità con un proprio modo di esprimersi, di giocare con le parole, di sentirsi e identificarsi con ciò che gli appartiene come traccia di una consapevolezza che, con l’aiuto del Coach, sarà poi da contestualizzare su un piano più oggettivabile.

Al di là di entrare in questo personale spazio semantico per approfondire i significati che il Cliente vuole veicolare, l’attenzione del Coach, dal mio punto di vista, non va tanto focalizzata su un repentino spostamento dal piano figurativo a uno “più cognitivo”, chiedendo al Coachee cosa intenda dire usando quella determinata immagine, bensì sull’esplorazione accurata della metafora stessa che, d’improvviso, per caso o volutamente, si è inserita nel suo discorso, proprio in quel momento, parlando di un aspetto specifico della sua situazione. Nonostante il focus del Cliente su un dato argomento abbia attraversato diverse sessioni, durante un successivo incontro il Coachee può riformulare, in maniera autonoma, la sua situazione o esprimere un pensiero con una metafora, ma senza che vi sia lo stimolo-domanda da parte del Coach a usare un linguaggio figurativo per descrivere quanto sta narrando.

Il riferimento metaforico può scaturire dal trovare in modo consapevole (o meno) un’immagine che viene riconosciuta dal Coachee come somigliante a ciò di cui va discorrendo, sebbene il potere evocativo ad essa associato sia proporzionale alla distanza semantica che intercorre tra il concetto di partenza rispetto a quello utilizzato in chiave figurativa. Maggiore è il distacco linguistico/simbolico tra i due livelli e maggiore è l’impatto comunicativo che, oltre a trascendere il piano “più cognitivo” del dialogo, si avvicina al percepito profondo del Cliente.

Il dire (e l’ascoltare) una frase come “mi sento stanco, abbattuto, schiacciato dal quotidiano” ha già un suo peso emotivo da indagare; un’espressione del tipo “mi sento distrutto, sconfitto, non ho più armi con cui combattere…” rivela, alla sola lettura e anche a livello sensoriale, tutta la profondità di un disagio che grava sul Coachee, mentre “sono a pezzi, guarda, non ce la faccio più e penso sia giunto il momento di chiudere i battenti, serrare le porte e picchiare duro a denti stretti” può suonare quasi come una dichiarazione di guerra.

Uno degli aspetti, per me, più delicati da presidiare nella gestione della metafora è che il Coach ne prenda da subito le distanze, evitando di “farsi trasportare” in un gioco di continui rimandi simbolici dove la metafora bellica, culinaria, naturalistica o sportiva del Cliente diventa la cornice semantica in cui stazionare, potenziando in questo modo l’impatto positivo o negativo che tale riferimento ha per il Coachee. Sebbene il linguaggio metaforico abbia una sorta di implicita durata espressiva legata al contenuto specifico di cui si sta parlando, il Cliente potrebbe anche adottare costanti riferimenti simbolici per sottolineare particolari concetti o stati d’animo, quali preziosi elementi d’indagine da registrare con distacco.

Una prima caratteristica che permette di contestualizzare le parole del Coachee in un quadro di riferimento chiaro è che il racconto sia fenomenico, ovvero ‘[…] che riporta gli eventi, le cose e le persone scomponendoli, identificandoli ed analizzandoli nella loro oggettività e specificità’ (Pannitti, Rossi 2012). La fenomenologia della metafora si esprime attraverso una sua rappresentazione della realtà che, se da un lato, può essere vicina e/o familiare alla situazione del Coachee, dall’altro, resta comunque sfuggente alla comprensione del Coach per i significati e le sfumature, a volte assai profonde, di cui è rivestita nelle parole del Cliente. Di conseguenza, per tornare “dall’altrove al qui e ora”, invertendo il processo semantico e poterlo scomporre, occorre focalizzarsi su un dettaglio che, all’interno del racconto del Coachee, possa rappresentare per il Coach quell’elemento importante dal quale astrarre un significato che, “riconvertito” a “un livello più cognitivo” e rimandato al Cliente, orienti la relazione su un piano per lui oggettivamente sostenibile, senza nulla togliere al valore (da lui) attribuito alla metafora.

Il linguaggio metaforico (si) apre a una moltitudine di significati sui quali si potrebbe argomentare per diverso tempo, ma rappresenta un’immagine, una traccia simbolica che il Coachee manifesta “da un altro piano” a cui il Coach non può fenomenicamente arrivare. Di conseguenza, l’aggrapparsi a un dettaglio della narrazione del Cliente permette di afferrare quell’elemento semantico, farlo proprio e restituirlo al Coachee in una forma gestibile. Quest’ultima, a sua volta, (si) apre ad altri significati, ma su di un livello dove eventi tempestosi o miracoli, cose magiche o diaboliche, orchi ed eroi assumono una loro identità da cui (ri) partire, come “le riunioni che non so gestire”, “quei complimenti che mi creano imbarazzo”, “mio marito o mia moglie a cui non so mai dire no”.

Una seconda caratteristica che permette di contestualizzare le parole del Coachee in un quadro di riferimento chiaro è che il racconto sia strutturato, ovvero ‘[…] che riserva ad ogni elemento della storia il suo peso e la sua collocazione temporale, gerarchica e di processo’ (Pannitti, Rossi 2012). Usciti dalla cornice metaforica e “tornati” a dialogare all’interno di un contesto fenomenico, il compito del Coach diventa quello di seguire i ragionamenti del Cliente nella strutturazione del proprio narrare, basando le parole su elementi quanto più oggettivi possibile. In tale ambito, il ripresentarsi o l’apparire di una (nuova) metafora ha un impatto diverso rispetto a prima, in quanto delimitato dall’identità del problema messo a fuoco, che funge da àncora di riferimento a quanto “riportato a terra”; spesso, anche per il Coachee la visione metaforica della sua situazione, o parte di essa, risulta più gestibile, nel senso che il Cliente adotta un linguaggio più consapevole attraverso il quale, oltre a creare un’immagine simbolica, descrive il significato attribuitogli, rilevando una maggiore aderenza all’oggettività del problema affrontato (es. “al riparo nel mio rifugio, mi sento protetta, nel senso che, quando dedico del tempo a me stessa, sto meglio…”; “quando mi accendo, partono scintille e non ci sono freni che tengano: è una sensazione di riempimento che provo in quei momenti dove ho bisogno di attivarmi…”).

Al di là della specificità di domande che sondino poi riferimenti spazio temporali, obiettivi e azioni, la struttura permette di dare ordine a idee e pensieri; quando il Coachee esprime una metafora che riesce poi a “decodificare” in autonomia per renderla più comprensibile a se stesso e anche al Coach, arricchendola di dati ed elementi reali, il linguaggio metaforico può diventare un’area dialogica di confronto i cui rimandi figurativi sono (un po’) più chiari a entrambi gli attori della relazione, in quanto ridimensionati rispetto a un ordine simbolico superiore “meno convertibile”.

Una terza caratteristica che permette di contestualizzare le parole del Coachee in un quadro di riferimento chiaro è che il racconto sia emozionale, ovvero ‘[…] che riporta emozioni, pensieri e sensazioni all’interno del quadro narrato, collocandoli nel racconto dei fatti, delle situazioni e degli eventi’ (Pannitti, Rossi 2012). In tale contesto, “il fiume del proprio sentire scorre liberamente”, ovvero, l’utilizzo della metafora può assumere un valore aggiunto di spessore, in quanto dona colori e sfumature a quei tratti di consapevolezza che il Coachee ha già rilevato. Il quadro narrativo ha assunto una sua fisionomia, le figure simboliche sono condivise ed è proprio a livello emozionale che il linguaggio metaforico del Cliente può diventare espressione di nuovi stati d’animo e sensazioni rispetto ai fatti narrati (es. “sai, l’avermi risposto in quel modo mi ha spento, buio totale, vuoto: sono andato dal mio responsabile perché m’illuminasse, mi desse quella parola magica, ma niente; inizio a credere che le mie aspettative sono forse un po’ troppo alte…”; “mi sono sentita travolgere da un uragano, le sue parole mi hanno squarciato qualcosa dentro, e lì ho capito che era il momento di rispondergli e così ho fatto…”).

Quando la situazione è delineata, o meglio, si caratterizza per una maggiore quantità di riferimenti reali e il Coachee, a livello verbale, si muove con chiarezza espositiva tra il piano simbolico e quello “cognitivo”, anche al Coach il quadro d’insieme può risultare più evidente, ed eventuali suoi rimandi metaforici, attraverso domande-stimolo di approfondimento, diventano funzionali a completare la visione dei fatti, anche dal punto di vista emozionale. Mentre in termini di struttura del racconto, ogni elemento metaforico introdotto dal Cliente necessita di un suo (ri) posizionamento a un livello più oggettivabile, la chiave emozionale opera il processo inverso, ovvero, (ri) partendo da uno scenario condiviso tra Coachee e Coach, stati d’animo e sensazioni espressi in metafore vanno a potenziare l’impatto narrativo senza “deviare” in maniera divergente dal racconto, basato su fatti ed eventi messi a fuoco dal Cliente.

Quarta e ultima caratteristica che permette di contestualizzare le parole del Coachee in un quadro di riferimento chiaro è che il racconto sia personale, ovvero ‘[…] che colloca al centro del racconto lo stesso narratore (il coachee), in qualità di protagonista attivo nello svolgersi degli eventi e delle situazioni narrate, con espressioni e descrizioni coniugate in prima persona’ (Pannitti, Rossi 2012). In tale scenario, l’accento è dato sulla capacità del Cliente di porsi al centro del proprio racconto, dove il linguaggio figurativo può dare enfasi a quanto viene narrato; il crescere della consapevolezza personale su determinati aspetti della situazione aiuta il Coachee a rendere più incisiva la sua narrazione, il cui dipanarsi assume come un ordine semantico più ragionato e preciso. Quando una visione del proprio futuro, o meglio, la presa decisionale di mettere in atto delle azioni concrete nel breve periodo comincia a farsi strada tra le parole del Cliente, oltre a delinearsi un obiettivo più chiaro rispetto a un contesto inizialmente nebuloso, la metafora può rilevarsi una sorta di rafforzativo al senso che il Coachee sta dando al suo racconto.

Il linguaggio simbolico tende a trovare la sua espressione in una forma più definita e il processo “del portare oltre” inverte la rotta per lasciare “qui e ora” una traccia del proprio manifestarsi, dando all’impegno del Cliente un rilievo maggiore, frutto di un ragionamento consapevole e orientato alla presa in carico di azioni concrete (es. “giovedì prossimo ho una riunione e questa volta esprimerò il mio pensiero, liberamente, senza tentennamenti, farò scintille, colpirò dritto, lascerò il segno, e ho anche un’idea…”; “so che mi costa, ma domenica gli parlerò: trovo sensato buttare fuori questo peso, senza rompere gli argini o affogarlo; con calma, ma voglio farlo…”). Quando il racconto del Coachee è personale e l’uso dell’Io ne aumenta la consapevolezza di fronte alla capacità di assumere il controllo delle proprie azioni, la metafora può diventare un canale di immediata comprensione anche per il Coach, in quanto il suo manifestarsi nella narrazione è potenziato dal messaggio di cui il “mezzo simbolico” è portatore, all’interno di un quadro di riferimento più chiaro rispetto a immagini vaghe o cariche di significati ancora inesplorati.

L’intensità simbolica che caratterizza l’uso di una particolare metafora, adottata dal Coachee per sottolineare un concetto, esprimere un’emozione, un disagio, un pensiero, è una realtà aperta a molteplici orizzonti e rielaborazioni che, nello spazio relazionale tra Cliente e Coach, sebbene non possa trovare una sua esaustività a livello di significati attribuibili, ha la concreta possibilità di manifestarsi per indicare al Coachee una strada da seguire, “in un senso” consapevolmente percorribile…

 

Federico Polidori
Training Specialist, Trainer, Life Coach
Cologno Monzese (MI)
federicom18@libero.it

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