Categoria: Come il feedback può migliorare una pratica di coaching

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certificazione di coaching

Come il feedback può migliorare una pratica di coaching

To see through: vedere attraverso e vedere in trasparenza.

Spesso in sessione mi torna alla mente questo verbo quale sintesi espressiva del nervo vitale che penso caratterizzi un duale narrativo significativo.

A mio parere un Coaching efficace è anche quello costituito da un feedback capace di favorire nel Coachee un ordine alla complessità delle flatus vocis della sua mente.  Non si tratta solo di condurlo a nominare sé stesso e le proprie esperienze con precisazione di verità. Si tratta piuttosto di facilitarlo nella composizione di una grammatica di pensiero significante la sua direzione, i suoi obiettivi e il suo futuro, tale per cui l’inespresso diventa visibile, la scelta chiarificata e l’azione autodeterminata.
Per questo motivo una certificazione di Coaching, nel senso di una comprovata e competente pratica di Coaching, secondo l’uso del termine che vige nel linguaggio comune parlato e non in senso di prescrizione legale, lo eleva come un cardine professionale fondamentale.

 

Nome, definizione, comprensione.

Il feedback può divenire dono all’altro attraverso l’esercizio di un ascolto attivo e di una dialettica di senso, a partire proprio dal fatto che la sua pratica si concretizza in uno strumento di decifrazione per il Coachee. Mi spiego meglio: facendosi da specchio neutrale, il Coach accompagna l’altro nell’atto di rivedersi e riascoltarsi, permettendogli di costruire una nuova traccia della sua storia e della sua persona. Non solo: attraverso un feedback efficace il metodo Coaching stimola nel ricevente   l’abilità di decodificare ovvero di poter intendere diversamente e meglio ciò che inizialmente pareva confuso, difficile, oscuro. Ogni comprensione necessita di una personale interpretazione e traduzione soggettiva del conosciuto: in quanto tale il soggetto è indotto ad apprendere una nuova chiave di lettura, a risolvere un dilemma, a svelare un mascheramento della mente e a chiarire un proprio percorso di senso.

 

Il feedback ci porta altrove, verso la scoperta e la sorpresa.

La propria abitudine grammaticale, ovvero il modo in cui siamo soliti usare le parole per costituire il nostro linguaggio, è una dolce suggestione che ci porta a nutrire un pregiudizio favorevole verso le nostre convinzioni più solide, canoniche ed esperienziali. Andare oltre e vedere attraverso, percorrendo un’altra prospettiva, non è semplice, sempre richiede uno sforzo e un atto di concentrazione. In tutto questo il feedback si sostanzia in una pratica di Coaching che può favorire nel Coachee la rivelazione della sua sostanza intrinseca. Mi riferisco al fatto che la restituzione di ascolto è capace di condurre parole e pensieri, espressi senza gerarchia, a volte caotici, scomposti, intermittenti e disfunzionali, per poi farli approdare all’interno di un intreccio più armonico e funzionale alla consapevolezza del Coachee stesso.

In questo modo al soggetto ricevente il feedback è consentito non solo alimentare nuove visioni di sé ma anche pre-assegnare un diverso valore alle parole, favorendogli il passaggio dal loro stato monodico ad uno stato polifonico, capace in quanto tale di esaltare la diversità dei suoi bisogni, delle sue emozioni e delle sue percezioni.

Attraverso il feedback efficace il Coachee è stimolato a rivedere le sue logiche preesistenti mediante una riarticolazione percettiva, cognitiva e linguistica, utile a generare una nuova sorpresa produttiva. Possiamo allora affermare che la pratica di feedback è funzionale al Coaching nella misura in cui, attraverso le dinamiche sovrascritte, contribuisce a consolidare la relazione facilitante con il Coachee, valorizzando tutto il potenziale che appartiene a una narrazione autobiografica e a una storia inespressa.

 

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In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®

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