La sintonizzazione con il Coachee
Reductio ad unum
Sentirsi adeguati alla vita e alle esperienze che la vita stessa ci stimola induce a scegliere da che parte guardare.
Poi ci sono realtà, per loro natura autoevidenti, che non si possono evitare. Tuttavia, la loro presa di coscienza è già parte della soluzione. Così è anche nell’esperienza professionale di un Coach.
Ci sono infatti evidenze non solo etiche ma soprattutto pratiche che sollecitano ad assumere una veste ben definita, tutt’altro che casuale o lasciata all’improvvisazione in assenza di regola e visione.
Le chiamano anche carenze invisibili. Si tratta di elementi relazionali che da subito non fanno rumore poiché connessi alla vulnerabilità sensibili dei soggetti in dialogo. Al contempo, nell’ambito di uno scambio comunicativo, sviluppano silenziosamente la sensazione di un disagio, prima tenue, opaco, appena sussurrato allo stato percettivo dei soggetti dialoganti.
Si tratta di sensazioni larghe che vagheggiano tra le rime semantiche dei linguaggi, per poi mostrare tutta la loro assenza furtiva in un atto finale: l’assenza di fiducia e con essa il venir meno di una alleanza.
Quante volte da Coach ti è capitato di stare in sessione avvolto dalla sensazione che un verbo, un gesto, qualcosa manca alla presa di contatto con l’altro/a?
Esiste uno scarto sempre possibile tra la realtà fisica e la realtà fenomenica: l’una è accessibile con la misurazione oggettiva e strumentale, l’altra è percettiva, frutto di una autoorganizzazione degli apparati sensoriali.
Da questo punto di vista ciò che viviamo è sempre il risultato di una straordinaria, unica e originale organizzazione percettiva.
il tutto non ci perviene dalla semplice somma degli elementi sensoriali di cui siamo dotati, bensì discende da una costruzione personale e ben strutturata circa l’esperienza complessa in cui siamo immersi.
Per non dimenticarci che proprio la complessità è la prima cosa che in una relazione doniamo di noi stessi e incontriamo nell’altro.
Allora la domanda che guida e che ci raccoglie tutti a una riflessione ponderata è la seguente: che cosa significa concretamente sintonizzarsi con il Coachee?
Nell’esperienza di essere Coach siamo tutti richiamati ad avere cura e a supervisionare di noi tre principali competenze che sorreggono la costruzione di una relazione facilitante con il Coachee.
Mi riferisco:
a) Competenza personale che è data dal grado di consapevolezza di sé, dalla padronanza di sè e dalla motivazione intrinseca che muove l’agire professionale;
b) Competenza sociale costituita dal modo in cui sappiamo gestire l’empatia e abilità sociali, ovvero legata alla nostra capacità di accompagnare le emozioni dell’altro, senza esserne immersi e identificati, in modo tale che l’incontro possa essere vantaggioso in senso evolutivo, per entrambi i dialoganti. Il tutto permette di alimentare una spirale relazionale guidata da un arricchimento reciproco e vitale;
c) Competenza linguistica capace di governare le interferenze conversazionali al fine di generare una narrazione logica-emotiva ma anche sensoriale-prospettica più autentica e trasformativa, in ordine alla designazione dei significati.
Step by step……
Quando incontriamo un Coachee in sessione occorre tener presente il mondo plurimo che lo accompagna perché è propriamente verso quel livello di esserci, in uno spazio comune e dialogante, cui dovremmo modulare noi stessi.
Percezioni, memoria e pensiero si intrecciano e si alternano all’interno di un flusso non sempre ordinato e chiaro, mentre siamo, stiamo e parliamo in sede di sessione con il Coachee.
La stessa psicologia ci ricorda che, di fronte all’altro, siamo in grado di presentarci con molti nostri sé a carico.
Per esempio, eccone alcuni a cui possiamo essere esposti nell’opera di sintonizzazione:
- Sé ecologico (essere corpo in un mondo di oggetti)
- Sé interpersonale (stare in relazione con gli altri)
- Sé esteso (consapevolezza e visione di sé nel tempo)
- Sé privato (stati soggettivi interni)
- Sé concettuale (le diverse immagini di sé)
Qualcuno con cui correre
All’interno di una confessione che emerge nel Coaching con tutta la forza di un movimento catartico, la comprensione che ne deriva guida la pratica di sintonizzazione tra Coach e Coachee.
All’interno della loro relazione la fiducia, la corresponsabilità, l’alleanza soggiacciono ad una chiave prima con cui l’accordo comunicativo si compie in modo significativamente costruttivo: mi riferisco all’empatia quale chiave speciale delle inferenze conversazionali che alimentano il dialogo maieutico.
Dunque, la comprensione è empatia che, nella giusta misura e con dovuta media distanza, consente al Coach la partecipazione allo stato d’animo e ai sentimenti dell’altra persona.
Si realizza così una sintonia emotiva che permette di condividere i vissuti interiori e le emozioni dell’altro/a (Coachee), senza esserne sopraffatti per influenzamento, suggestione o identificazione.
La comprensione del Coach si edifica sopra quel sentire l’altro in modo più sensibile e aperto, quale strumento fondamentale di interazione, contatto, vicinanza, affidabilità, coerenza.
Tutto si congiunge all’agire empatico: esso stesso si definisce per la maggiore capacità di interpretazione dei contenuti del Coachee, di comprensione delle motivazioni che li sostengono ma soprattutto si concretizza nella abilità di decifrazione dei segnali verbali e non verbali che facilitano la working alliance.
La sintesi di tutto è suggerita dalle parole dello psicologo della relazione Minolli: “La vita è una continua creazione e divenire, all’interno di rapporto coerenza-perturbazione. Tenerli interagenti, senza che l’uno prevalga sull’altro, non è questione semplice. Si tratta quindi di riuscire a coniugare, ogni volta in una relazione, la giusta complementarità di chiusura e apertura”. Ma questa è un’altra storia…
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In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®
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