Categoria: L’approccio del Coaching nell’espletamento del modulo di sociologia del corso professionalizzante di Operatore Socio Sanitario

Categoria: L’approccio del Coaching nell’espletamento del modulo di sociologia del corso professionalizzante di Operatore Socio Sanitario

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L’approccio del Coaching nell’espletamento del modulo di sociologia del corso professionalizzante di Operatore Socio Sanitario

Quando ho incontrato per la prima volta una platea di aspiranti Operatori socio sanitari (Oss, per semplicità), mi sono trovata di fronte ventisei persone dai venti ai cinquantanove anni.

I corsi professionalizzanti Oss, in Toscana, sono realizzati dalle aziende sanitarie locali su mandato della Regione, previo test di ammissione e, una volta ammessi, il pagamento di una quota simbolica di circa mille euro, l’obbligo di frequenza per mille ore, di cui centottanta di laboratorio e quattrocentocinquanta di tirocinio in strutture tra quelle che aderiscono al progetto.

Le materie di studio vanno da quelle scientifiche a quelle giuridiche, in ambito socio sanitario. A me è stato chiesto di eseguire il modulo di venti ore di sociologia.

Di fronte a persone così diverse per età, con un programma molto teorico mi sono chiesta: a cosa gli servono venti ore di sociologia?!

Provenendo dal mondo della scienza della comunicazione e da un’esperienza ormai ultraventennale di docenza, so che non basta contestualizzare la materia argomento della lezione, ma è doveroso allacciare un rapporto più profondo e soprattutto pragmatico per rendere quella materia, apparentemente avulsa dal contesto e in particolar modo dalle aspettative (cosa mi da di concreto il corso) e meta-aspettative (che sbocchi avrò), grimaldello di un qualcosa che possa essere veramente utile ad ognuno.

Ecco la sfida: rispettare il programma e allacciarlo alla realtà del contesto, in modo il più possibile costruttivo, per orientare le persone che avevo di fronte ad una “consapevolezza” rispetto alla professione che stavano imparando e, contestualmente, all’assunzione di una “responsabilità” individuale rispetto alla stessa professione, nella prospettiva di avere uno sbocco reale di lavoro senza tralasciare l’aspetto del “benessere” personale.

Quale miglior approccio utilizzare se non quello del metodo di coaching?

Di fronte si hanno giovani disoccupati, usciti da qualche anno dalla scuola superiore o da un’esperienza universitaria lasciata a metà o appena conclusa; donne e uomini maturi che hanno perso il lavoro anche magari a ridosso della pensione. Si da per scontato che il motivo di aver partecipato alla selezione è trovare un lavoro sicuro.

La fase iniziale delle venti ore di sociologia, sarebbe dovuta essere strategica. Nei loro occhi già avevo letto: «…ora questa che ci viene a raccontare?!…» e perciò avrei dovuto impostare da subito il percorso di esplorazione per focalizzare l’attenzione non sulla “sociologia“, che rispetto ai contenuti poteva diventare il sottile fil rouge, bensì sul “ruolo professionale” che, alla fine del percorso di studi, avrebbero acquisito.

La domanda delle domande sarebbe stata: che significa essere operatore socio sanitario? E in particolare: che tipo di operatore voglio divenire/essere?

Questo avrebbe presupposto, comunque, un “patto d’aula” a partire dalle loro aspettative rispetto alla lezione (a seconda di come avrei cominciato si sarebbero potute scatenare obiezioni) e soprattutto una loro partecipazione attiva. Quindi la loro presentazione avrebbe dovuto prendere un po’ di tempo e il mio invito a presentarsi doveva sì rompere il ghiaccio, ma soprattutto proiettare la mente di ognuno che avrebbe raccontato sé stesso e le proprie esperienze, già in una prospettiva fiduciosa. Ognuno si sarebbe dovuto sentire in reale e consapevole movimento verso qualcosa di nuovo.

Quindi, dopo una mia brevissima presentazione, molto low profile, ho deciso di procedere secondo le considerazioni che ho appena espresso e porre subito questa domanda:
«Siete circa a metà del percorso di questo corso. Avete già affrontato diverse materie. Oggi ne iniziamo una nuova. Prima però vorrei capire una cosa da voi: avete compreso quali sono gli sbocchi di questo corso? – breve silenzio – Che vuol dire, secondo voi, essere operatore socio sanitario?». Silenzio.

Ne sono seguite risposte incerte e brusio.

Ho, quindi, proposto “il patto d’aula” : il mio ruolo sarebbe stato quello di un facilitatore più che di un docente; attraverso domande avrebbero individuato il “valore” professionale dell’operatore socio sanitario nella società contemporanea e gli aspetti personali caratterizzanti per divenire un operatore “consapevole“; la “sociologia” ci sarebbe tornata utile, strada facendo, nella sua essenza di scienza per inquadrare la professione nei vari contesti e rispetto alle relazioni che ne derivano.

La singola presentazione di ognuno, quindi, ha dato inizio al percorso. Per dare il senso del “movimento” (chi sono-che tipo di professionista sarò) che volevo si realizzasse, affianco alla domanda di raccontarsi ho aggiunto la domanda sui valori irrinunciabili per ognuno: questo ha focalizzato l’attenzione non sulla “storia” di vita della persona che si raccontava bensì sulle “essenze” (valori) caratterizzanti, al di fuori del ruolo che ognuno ha o avesse avuto in passato nella società.

Quelle parole, che hanno preso corpo in un elenco sulla lavagna a fogli mobili, ognuna delle quali, come ho detto, rappresentava un valore fondante la persona che le esprimeva, sono diventate oggetto di indagine e di approfondimento nelle ore successive oltre che patrimonio comune.

Complessivamente abbiamo lavorato nel “qui e ora” e quelle che sono le quattro “A” della relazione di coaching (Accoglienza,ascolto, autenticità e alleanza) che ho messo in campo nei loro confronti, sono diventate esse stesse concetti a cui l’aula è approdata per definire la costruzione di una relazione positiva con qualsiasi persona, senza perdere di vista il proprio sé. Con l’ausilio di una clip tratta dal film Chocolat, l’aula ha riflettuto e lavorato sui pregiudizi e schemi mentali, con l’obiettivo di comprendere il significato di “accoglienza”, “assenza di giudizio” o comunque sospensione di ogni giudizio, “ascolto attivo” e “feedback di ascolto” e soprattutto “empatia“: la capacità di assumere il punto di vista dell’altro, mantenendo una visione complessiva della situazione in modo da poter gestire situazioni difficili (con distacco emotivo).

La scommessa – perché di questo si è trattato in questa prima esperienza – è stata abbandonare l’abito del docente e assumere una relazione con l’aula, in un processo di esplorazione, di scoperta e di costruzione della “consapevolezza” ognuno rispetto ad un’auto-osservazione delle proprie azioni comunicative e, sempre ognuno, rispetto al ruolo di Oss che può diventare su valori irrinunciabili.

Il metodo usato è stato pertanto principalmente quello della domanda esplorativa dei diversi punti di vista; di domande volte al significato profondo delle parole rappresentati i valori per ognuno; la raccolta delle informazioni; la restituzione. In questo processo è rientrata anche l’aggiunta di pillole di teoria della sociologia, oltre che della pragmatica della comunicazione, per indurre alla riflessione e contestualizzazione di concetti e significati.

Tutte le ore programmate hanno visto la partecipazione attiva di ognuno dei partecipanti, anche delle persone apparentemente più riservate.

L’applicazione delle 4 “A” del coaching e la posizione “IO OK-TU OK” a cui si è approdati attraverso le varie considerazioni scaturite dalle opportune domande che si sono susseguite, hanno favorito la riflessione sui singoli comportamenti che sono alternativi ad una relazione positiva, e hanno favorito, in alcuni, la rottura del pregiudizio rispetto ad altri. Questo è stato possibile osservarlo già in aula, quindi tra loro stessi: le riflessioni hanno favorito, nei giorni successivi, una più consapevole costruzione di relazioni positive tra i discenti. Quello che è stato l’approccio di “accoglienza” tra me e loro, è diventato col passare delle ore “accoglienza” tra ognuno di loro, molto di più di quello che avevo potuto osservare il primo giorno, con nuove dinamiche relazionali.
“Le relazioni” sociali a partire da quelle interpersonali e l’aspetto dello sviluppo di una propria comunicazione interpersonale empatica non rappresentano, forse, il “come” riesco a costruire una relazione positiva tra me e i miei interlocutori, nel caso specifico, al momento del colloquio di lavoro (contesto di ricerca nel mondo del lavoro) o nel momento dell’approccio con l’assistito (aspetto principale del ruolo dell’operatore socio sanitario)?

Con questa domanda, l’aula si è posta l’obiettivo di esplorare i due contesti: dove potrò lavorare, quale tipologia di datore di lavoro incontrerò e chi, come tipologia di assistito, mi potrò trovare di fronte. In questa prospettiva quanto è importante la consapevolezza di sé e la centratura in sé stessi?

La posizione relazionale “IO OK – TU OK” che nella prima fase è stata un punto di arrivo, qui è divenuta punto di partenza per indagare le altre posizioni relazionali (IO OK TU NON OK; IO NON OK TU OK; IO NON OK TU NON OK) generando, attraverso lo stesso meccanismo della domanda, una visualizzazione di ognuna di queste situazioni, contestualizzandole, poi, sia nell’ambito del colloquio lavorativo sia nell’ambito del primo approccio con l’assistito, con esempi venuti fuori dall’esperienza di ognuno.

Con un esercizio d’aula sul “lavoro di gruppo” a fasi crescenti da me congegnato, l’aula ha poi testato il significato di una relazione positiva costruttiva sul piano non solo della relazione ma anche del contenuto (diversità di opinioni) nel contesto non più «uno a uno» ma in quello «uno a molti» in cui l’ascolto attivo, la consapevolezza di sé e l’assertività diventano presupposto fondamentale per la negoziazione anche tra più persone.

Per rafforzare i concetti derivanti da questo esercizio, l’esame di fine corso è stato strutturato come lavoro di gruppo. La sociologia ha fatto da sfondo.

L’approccio della domanda piuttosto che quello delle affermazioni, ha sicuramente scatenato in ognuno una riflessione: alcuni si sono convinti di essere sulla strada giusta; altri hanno imboccato la strada di una più profonda riflessione rispetto alle proprie convinzioni. La sensazione, confermata, è stata comunque di sentirsi in “movimento” e di aver acquisito la consapevolezza di cosa vuol dire diventare un operatore socio sanitario.

 

Roberta Caldesi
Coach professionista specializzato in ambito sanitario e socio sanitario
Communication manager
Siena
robcaldesi@gmail.com

 

Note:
Il concetto delle  “4A” nella Relazione Facilitante è di proprietà intellettuale della Scuola INCOACHING®.

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