Categoria: Coaching e teatro di Lecoq: affinità tra metodo e azione

Categoria: Coaching e teatro di Lecoq: affinità tra metodo e azione

Coaching e teatro di Lecoq: affinità tra metodo e azione

Partendo dalla definizione dell’Associazione Italiana Coach Professionisti per cui «Il Coaching è un metodo di sviluppo personale e organizzativo che si basa sulla relazione di fiducia tra Coach e Cliente (Coachee) al fine di valorizzare e allenare le potenzialità del Cliente o dell’organizzazione per il raggiungimento di obiettivi definiti» (Associazione Coach) e da quella dell’International Coaching Federation Italia per cui «Il Coaching è una partnership con i Clienti, che attraverso un processo creativo stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale» (Coaching Federation) si salpa per un viaggio attraverso lo sviluppo personale che presenta molti punti di contatto con il teatro.

La relazione e il processo creativo sono le due chiavi che aprono entrambe le porte alla scoperta di due mondi che, apparentemente lontani, poggiano le basi sui medesimi pilastri.

Il coaching si basa sullo sviluppo della persona attraverso un processo creativo che permette di cogliere possibilità inesplorate così come il teatro costituisce un terreno di gioco ideale per l’espressione della creatività e la presa di consapevolezza. Imprescindibile per entrambi è la relazione. «Il teatro è anzitutto luogo della relazione, corpo che entra in relazione con un altro corpo, luogo di rapporto stringente e serrato […]» (CASCETTA A. – PEJA L., Ingresso a teatro. Guida all’analisi della drammaturgia, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 2008, p. 19), «[…] è luogo dell’incontro secondo un patto in profondità, […] è messa in scena di quella che sempre più viene colta come la condizione originaria del sapere: appunto la relazione» (Ibidem, p. 21).

Una relazione che nasce da un patto, come nel coaching, e che, come condizione originaria del sapere, non può che riportarci alla definizione socratica della maieutica quale «esercizio del dialogo, ossia […] domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma» (Treccani).

La relazione, il dialogo, il sapere, tre elementi legati a doppio filo in entrambi i mondi e che generano una reazione a catena di parallelismi che uniscono coach, coachee, attore, spettatore e pedagogo teatrale su piani che mutano continuamente.

Una volta constatati i punti di contatto tra coaching e teatro, il balzo verso il teatro di movimento di Jacques Lecoq è immediato per chi come me ha indossato la sua maschera neutra e il suo naso da clown, ha compreso l’importanza del silenzio che precede la parola e ha imparato ad apprezzare l’errore come punto da cui partire per il miglioramento. Appena intrapreso il percorso di coaching l’illuminazione che porta a Lecoq è bruciante.

È per questo motivo che mi piacerebbe ripercorrere insieme i punti focali che accomunano teatro di Lecoq e coaching, che nascono e prendono entrambi avvio dallo sport.

 

Jacques Lecoq

Per inquadrare meglio l’argomento iniziamo col dire chi è Jacques Lecoq. Vissuto tra il 1921 e il 1999, parigino, attore, mimo e pedagogo teatrale, nonché fondatore della Scuola Internazionale di Teatro Jacques Lecoq (école Internationale de Théatre Jacques Lecoq) tuttora attiva, è cofondatore con Giorgio Strehler e Paolo Grassi della Scuola del Piccolo di Milano. Il suo insegnamento si basa sull’analisi del movimento in tutte le sue forme, si radica nella maschera neutra (il silenzio, l’ascolto, la calma) ed esplora tutti i territori drammatici (la tragedia, la commedia dell’arte, il melodramma, il clown). Durante la sua carriera lavora con Franco Parenti, con cui fonda la Compagnia Parenti-Lecoq, con Dario Fo, con Anna Magnani e con Carla Fracci per nominare i personaggi più conosciuti.

 

Lo sport

Come Timothy Gallwey, istruttore di tennis degli anni Settanta del Novecento, si avvicina al coaching partendo dallo sport, così Lecoq arriva al teatro tramite lo stesso mezzo diventando prima insegnante di educazione fisica e poi responsabile dell’allenamento fisico degli attori della compagnia teatrale Comédiens de Grenoble, accendendo un forte interesse nei confronti delle potenzialità del corpo in movimento. «Sono arrivato al teatro attraverso lo sport. […] tra le parallele e intorno alla sbarra, ho scoperto la geometria del movimento» (Lecoq J., Il corpo poetico. Un insegnamento della creazione teatrale, Controfibra 2016, p. 25).

Il giocatore di tennis di Gallwey apprende in modo naturale dall’esperienza diretta migliorando la sua performance. Durante la sua esperienza con gli allievi alcuni errori osservati ma non nominati «venivano corretti senza neanche che l’allievo sapesse di averli commessi […] a volte le indicazioni sembravano diminuire la possibilità di correggere gli errori» (gallwey t., Il gioco interiore nel tennis. Come usare la mente per raggiungere l’eccellenza, BUR Fatti Blu 2023, p. 17). Per Lecoq ciascun allievo aspirante attore è libero di seguire la propria spinta individuale, accettando, attraverso il jeu (il gioco, la recitazione, il ‘to play’ inglese), l’errore e provando quell’urgenza che lo sproni, nella difficoltà, a trovare altre strategie fino ad arrivare a quella vincente. Inoltre, la costante esposizione alla negazione fa sì che il proprio corpo apprenda naturalmente cosa è “sì” e cosa è “no”, acquisendo una certa autonomia e consapevolezza, come un atleta che dopo anni di allenamenti quotidiani raggiunge pieno controllo di ogni parte del proprio corpo.

 

L’errore

Il gioco (jeu), inoltre, concede all’attore la possibilità di fare esperienza del fallimento. L’errore è concepito come parte integrante del gioco, come passaggio obbligato nell’ottica di un percorso esperienziale volto all’esplorazione di molteplici situazioni e condizioni.

«Non solo l’errore è ammesso ma è necessario perché la vita continui […]. Senza errore, non c’è movimento» (Lecoq J., Il corpo poetico. Un insegnamento della creazione teatrale, Controfibra 2016, p. 45). Anche nel coaching il rapporto con l’errore è fondamentale per accedere all’eccellenza attraverso un percorso dinamico che, attraverso l’elaborazione, la realizzazione del cambiamento e anche un’eventuale reimpostazione del processo, porta allo sviluppo del coachee in modo proattivo e con un apprendimento progressivo.

 

Movimento, mobilità e consapevolezza

Il movimento per Lecoq porta alla scoperta, alla consapevolezza e alla creazione, scopo della sua Scuola. Secondo il pedagogo teatrale parigino è importante non «[…] dimenticare che la meta del viaggio… è il viaggio stesso!». Ecco le sue parole sul continuo movimento: […] Anche quando, visti dall’esterno, diamo l’impressione di ripetere sempre la stessa cosa, in realtà nella Scuola tutto si muove… ma lentamente!» (Ibidem, p. 35).
I movimenti delle onde in superficie sono più visibili di quelli in profondità ma le profondità del mare sono sempre in movimento. Lo stesso approccio viene applicato dal coach nel viaggio di accompagnamento del coachee verso il suo sviluppo. I movimenti e i tempi sono quelli del cliente ma il compito del coach è di stimolare continuamente quelle acque affinché si muovano.

Le parole di Lecoq sembrano non differire molto da quelle che pronuncerebbe un coach di socratica memoria: «[…] siamo costantemente alla ricerca di processi di creazione. Bisogna […] mettere gli allievi in movimento, perché scoprano da soli […]» (Ibidem, p. 179), «dobbiamo privare gli allievi di una parte del loro sapere» (Ibidem, p. 51).

 

«So di non sapere»

E come possono gli allievi della Scuola Internazionale di Teatro Jacques Lecoq scoprire da soli? «Non si tratta di trasmettere un sapere tale e quale, ma di cercare di capire insieme, di trovare, tra allievo e maestro, un punto più alto che faccia dire, da parte del maestro agli allievi cose che non avrebbe mai potuto dire senza di loro, e faccia dire agli allievi d’aver suscitato una conoscenza grazie al loro desiderio e alla loro curiosità» (Ibidem, p. 44).
Novello Socrate, questo maestro teatrale non vuole insegnare o attribuirsi il merito di qualcosa che l’allievo possiede già in potenza, bensì essere una guida verso lo svelamento delle sue capacità. E chi è il coach se non colui che, quando incontra un coachee, non sa quale sia la sua reale esigenza, non conosce il suo obiettivo, le sue potenzialità, le risorse e il piano d’azione che metterà in campo. Attraverso un dialogo maieutico il cliente scoprirà qualcosa su di sé che all’inizio del percorso non sapeva.

 

Neutralità e distanza

Come il maestro si allontana dalla tentazione di insegnare una verità precostituita affidando questo compito all’allievo, così l’allievo attore si deve distanziare dal personaggio che interpreta per recitarlo al meglio. Secondo la visione di Lecoq l’attore deve avere chiara la distinzione tra sé e il personaggio e questo lo porta a recitare meglio. Se così non fosse si rischierebbe un cortocircuito, una sovrapposizione pericolosa che non porta alcun beneficio alla scena.
La neutralità è una condizione di pienezza, di equilibrio, di calma e curiosità. Allo stesso modo l’essere neutro permette al coach di non essere in mezzo al mare insieme al coachee ma di rappresentare un porto sicuro da cui mantenere la lucidità e la giusta distanza per supportarlo e condurlo a scoprire qualcosa in più su di sé senza essere nel suo flusso.

 

Il silenzio

Dopo aver fatto un passo indietro immergendosi nel neutro sopraggiunge il silenzio, un momento sacro nel teatro di Lecoq perché determina un’azione precisa che passa dalla bocca e dal corpo come gesto di pura creatività. Quando l’attore si avvicina al linguaggio teatrale compie una sorta di viaggio a ritroso verso uno stadio della comunicazione che precede quello verbale.

«Le prime improvvisazioni mi servono per osservare le qualità teatrali degli allievi: come recitano cose molto semplici? Come tacciono? […] domando semplicemente di tacere per comprendere meglio quello che c’è sotto le parole. […] In un dato momento, quando il silenzio è troppo carico, il tema si libera e interviene la parola. […] All’inizio, gli allievi vogliono a tutti i costi agire, creare delle situazioni gratuite. Così facendo, ignorano completamente gli altri attori e dimenticano di recitare con. Ora, il gioco teatrale non può stabilirsi senza reazione all’altro» (Ibidem, p. 44). Nel metodo del maestro parigino «[… ] è dal silenzio che nasce la parola […] “Sta zitto, gioca, e il teatro verrà!”» (Ibidem, p. 61).

Anche nel coaching il silenzio è, oltre al powerful questioning, la chiave della relazione che porta a stimolare la parola, che conduce il coachee ad aprirsi al coach e a scoprire molto di sé attraverso una relazione di fiducia costruita principalmente sull’ascolto attivo. Le parole del coach occupano infatti circa il 20-30% della sessione. Il palcoscenico è del coachee.

 

La maschera neutra

La maschera neutra è un mezzo che consente all’allievo di sperimentare le condizioni di calma, immobilità e silenzio che “preparano” il sopraggiungere di parole e gesto. Si tratta di una maschera inespressiva che aiuta gli attori a spogliarsi delle loro caratteristiche e della loro personalità prima di entrare in quelle dei loro personaggi.

«Il lavoro con la maschera neutra inizia dopo il gioco psicologico silenzioso, ma è in realtà l’inizio del viaggio. […] La maschera neutra è un oggetto particolare. È un volto, detto neutro, in equilibrio, che propone la sensazione fisica della calma. Questo oggetto che si porta sul viso deve servire per sentire lo stato di neutralità preliminare all’azione, uno stato di ricettività a ciò che ci circonda, libero da conflitti interiori. […] la maschera neutra […] mette in stato di scoperta, di apertura, di disponibilità a ricevere» (Ibidem, p. 61).

Quale miglior definizione anche per un coach che prima di una sessione deve centrarsi, aprirsi a ricevere quanto il cliente deciderà di condividere indossando gli occhiali del coach, liberandosi dal giudizio e rimanendo in ascolto attivo.

 

Il clown

Un altro strumento che insieme alla maschera neutra costituisce un elemento fondamentale del metodo Lecoq è il clown. Riveste la stessa importanza della maschera neutra ma in direzione opposta. Tanto la prima rappresenta un elemento collettivo quanto «[…] il clown mette in evidenza l’individuo nella sua unicità» (Ibidem, p. 213). Anche in questo caso il parallelismo con il coaching è evidente nell’accettazione da parte del coach del suo coachee nella sua unicità, senza se e senza ma. Fiducia massima nel cliente e assenza di giudizio. Per lasciare che il coachee possa prendere consapevolezza e possa attuare al meglio il suo percorso occorre proteggere e supportare la sua unicità e creatività.

 

Il disorientamento positivo

Smettere di giudicare significa rinunciare al controllo e determina quello che nel coaching è definito disorientamento positivo di fronte al coachee.
Questo concetto fa pensare proprio alla condizione dell’attore che compie il primo passo sulla scena, sa cosa deve fare ma non sa come lo farà e come reagirà il pubblico. Stare nell’ascolto dell’altro vuol dire lasciarsi disorientare dall’imprevedibilità, essere disposti ad abitare un luogo senza punti di riferimento.

 

La creazione

Il lavoro sul personaggio, la recitazione che è creazione, produzione di qualcosa di diverso da sé, è l’obiettivo principale da raggiungere attraverso un percorso disciplinare che premia la capacità di immedesimarsi nel ruolo. «Obiettivo della Scuola è un giovane teatro di creazione […]. L’atto creativo viene continuamente sollecitato, soprattutto mediante l’improvvisazione […]» (Ibidem, p. 39).
Lo stesso avviene con il processo creativo che nel coaching mette al centro il coachee con uno stimolo continuo da parte del coach.

Abbiamo aperto con la relazione e chiudiamo con la creazione, punti in comune tra coaching e teatro che ci hanno permesso di avviare questa riflessione.

«Lo sviluppo della creatività messa in azione rappresenta l’essenza della pratica del coaching, del teatro e forse, in una certa misura, anche della vita» (Accademia del coaching, L’ascolto: strumento essenziale del coach e dell’attore di Chiara Muscato, sito accademia del coaching > “Coaching e teatro due palchi per la messa in scena della vita” – consultato in data 18 gennaio 2024).

Abbandonare il giudizio per l’attore e per il coach è tra le più difficili sfide ma è fondamentale nella pratica del coaching così come nel teatro perché lo spettatore/coachee possa ascoltarsi e vedersi mediante il teatro/coaching, riconoscere le proprie risorse e mettersi al centro dell’azione creativa.

 

Romy Proietti Marini

HR Business Partner | Professional Coach
Saronno (VA)
romy.proiettimarini@gmail.com

 

 

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